Una cura per l'ignoranza. Libri e storia

In una conversazione con Jean-Claude Carrière, Umberto Eco ricorda che da un’inchiesta recente realizzata a Londra, è emerso che un quarto delle persone interrogate credeva che Winston Churchill e Charles Dickens fossero dei personaggi immaginari mentre Robin Hood e Sherlock Holmes erano realmente esistiti – immaginiamo quali sarebbero stati i risultati in Italia dopo decenni di confusione tra realtà e fiction indotta dalla videocrazia nostrana! -. In quella conversazione (pubblicata in Non sperate di liberarvi dei libri, Bompiani), Jean-Claude Charrière, risponde, sconfortato: “l’ignoranza ci circonda da tutte le parti, spesso con arroganza e rivendicazioni. Fa anche proselitismo. È sicura di sé, proclama il suo dominio attraverso la bocca stretta dei nostri politici [e la faccia larga delle nostre Tv digitali!]”. 
E allora che fare? Quali cure si possono sperimentare? Jean-Claude Charriére stesso indica una strada citando un’idea di un suo amico, il quale paragona i libri di una biblioteca a una calda pelliccia protettiva. L’esperienza di una biblioteca, quel sentirsi circondato da tutte le idee del mondo, da tutti i sentimenti, tutte le conoscenze e tutti gli errori possibili, offrirebbe una sensazione di sicurezza, di protezione. Sarebbe, questo, in un certo senso, un modo per sentirsi protetto da insicurezze e errori, un modo per non sentire mai freddo, un modo per essere protetto almeno dai gelidi pericoli dell’ignoranza. Poi, però, conclude domandandosi, e domandando ad Eco, se veramente è importante sapere, se è importante che la gente sappia il maggior numero possibile di cose.  La risposta di Umberto Eco credo sia degna di attenzione. Eco infatti ritiene essenziale non tanto che la gente sappia il maggior numero di cose possibili, ma che “il maggior numero di nostri simili conosca il passato. Si. È il fondamento – dice – di ogni cultura.….La nostra umanità è sicuramente tentata dal pensiero, come fra gli americani, che ciò che è passato, tra trecento anni, non conti più e non abbia più alcuna importanza per noi”. È così che si smarrisce il vero sapere, quello impastato di storicità e temporalità come tutte le cose umane, quello fragile e mutevole, sempre minacciato e nonostante tutto dubbioso di se stesso e sempre in cammino, quello in grado di farsi giudicare dall’esperienza della storia e proprio per questo aperto al dialogo, alla possibilità e anche all’utopia. 
Quel sapere che dalla frequentazione dei libri, dalla loro varietà e dalle loro contaminazioni ha imparato a non pretendere di imporre un ordine monocratico e fanatico al mondo, anche perché ha capito che… “niente è più difficile che fare ordine in una biblioteca”! 

Amo la storia delle idee, la filosofia e la musica. Mi interessano i linguaggi, la comunicazione, i libri.

3 commenti

  • Anonimo

    Abbiamo più volte ascoltato e ripetuto slogan e messaggi del tipo “Per non dimenticare”, “Ritrovare le nostre radici” ecc. Dobbiamo trasformare questi slogans nella trama dei nostri fondameni culturali. Sono d'accordo con Umberto Eco

  • Anonimo

    Non esiste “Sapere” se non in rapporto al passato.Il sapere, secondo me, non è altro che un continuo riflettere sul passato. Un continuo “aggiustare il tiro” su cose e idee accadute “prima”; per cercare un senso condiviso per la convivenza civile.Per la stessa ragione, non esiste il futuro, se non come aggiustamento del presente, che, a sua volta, è un aggiustamento del passato recente, nonchè, in un certo senso, antico. Il sapere alla fine può essere considerato come una continua, “rinnovata” risposta alle primordiali domande,sempre verdi: “Chi siamo?,da dove veniamo?,dove andiamo?Allora, senza la domanda “antica”, come ci può essere la risposta recente? Sono d'accordo con Eco!Mario Rosario Celotto

  • Anonimo

    “I romanzi non sono la vita”. Ma ne tracciano una forma. Un narratore è un “esperto” (gnarus) che tenta il càos, il vuoto confuso, e gli imprime una forma ordinata. E lo stesso fanno storici e scienziati. Ecco perché una biblioteca rassicura. Gli scaffali sono sentieri nel càos, anche se disordinati. Un libro è una traccia nel vuoto. Quella traccia che prende forma grazie agli occhi di un lettore che la percorre in cerca di un tesoro perduto. Ma un libro è anche un invito a contemplare il càos oltre i sentieri delle parole. È da lì che la mente ricompone una traccia nell'interpretazione delle domande e delle possibili risposte. Certo, una biblioteca non prescrive un “ordine monocratico” per il mondo, ma disegna, tuttavia, un senso condivisibile, pur nelle interpretazioni diverse. In fondo, ogni grande libro tenta di rispondere a domande essenziali dell'uomo. Il senso condivisibile è, forse, nella storia di queste domande. E le risposte sono ancora aperte all’utopia.

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