IL 25 APRILE 1945. LA NECESSITÀ DI RICORDARE
“Commemorare, dal latino cum + memorare dove cum ci dice che qui non si celebra un ricordo privato, ma un ricordo pubblico, che qui non si pratica il ricordo di singoli, ma il ricordo di una collettività, che qui non si dà spazio al ricordo di un individuo, ma al ricordo di un popolo. Perché qui, oggi, con quest’azione di cum + memorare noi ci scambiamo un ricordo, noi condividiamo un ricordo, noi ci riconosciamo in un ricordo. E memorare ci rimanda ad un’azione che è più forte di quello che abitualmente chiamiamo ricordo. Non è un ricordo del passato nel quale i contrasti e le miserie della vita possano sbiadire fino a illuderci, di fronte allo squallore del presente, con immagini mitizzate dei tempi che furono. Non è un ricordo del passato nel quale le tragedie possano sublimarsi in un’aureola di eroismo. Non è un ricordo che abbellisce ciò che fu trasferendolo nella cerimonia festosa che fa dimenticare, a chi festeggia, di quante lacrime grondi e di quanto sangue la festa che si celebra….
…Il ricordo che celebriamo… non è un ricordo che abbellisce, non è un ricordo che tranquillizza, non è un ricordo che rappacifica, non è un ricordo che predispone alla festa. E’, al contrario, un ricordo pericoloso, perché in mezzo alla gioia della festa ci getta in faccia la sua richiesta di fare i conti con i terrori e le speranze che esso evoca: i terrori di ciò che è stato e avrebbe potuto continuare ad essere, le speranze di ciò che avrebbe dovuto essere.
E’ un ricordo inquietante, che non ci lascia in pace. E’ un ricordo sovversivo che strattona la nostra coscienza di fronte alla tentazione di accettare che ormai è cosa passata e che dobbiamo serenamente guardare avanti. E’ un ricordo che pretende di non essere dimenticato o scolorito, a pena della perdita del senso del nostro essere popolo di cittadini.
Memorare vuol dire in latino far ripensare a qualcosa, attraverso una narrazione. Ci sono narrazioni che sfumano nella favola, ci sono narrazioni che si cimentano con la perfezione dei dettagli, ci sono narrazioni che fondano il senso del nostro stare insieme. Da sempre gli esseri umani fanno la storia e se la raccontano: che sia piccola storia di vicende quotidiane o familiari o che sia tragica storia di vicende epocali, è il nostro raccontarci la storia che dà senso e valore a quelle vicende….
…. è il terreno del racconto della storia come “mito fondante” cioè del racconto di una storia particolare senza la quale noi non saremmo quello che siamo.…In questo “mito fondante” (come in tutti i miti fondanti delle società umane e, attenzione, non c’è società umana senza mito fondante cioè senza coscienza comune del proprio passato e del proprio orizzonte futuro nel quale iscrivere un presente che abbia un senso) la vicenda dei singoli incontrava la storia, diventando – al di là della consapevolezza di ognuno, che poteva anche non esserci – parte integrante della storia….[Quale] sarebbe il destino di una società che non sapesse o non volesse più ricordare o riducesse i ricordi ad una melassa di nostalgia per il bel tempo andato. Sarebbe come una società di api o di formiche, perfetta nella sua organizzazione del lavoro e nella sua ripartizione dei ruoli sociali, ma incapace di capire perché fa ciò che fa e perché continua a farlo in maniera ripetitiva da quando esiste….
…[Quanti] giovani si avviarono alla morte camminando sul sentiero tracciato dal fascismo con i suoi atti politici funzionali alla sua idea di società e umanità, alla quale molti italiani (a cominciare dal re e dai suoi collaboratori) guardarono per troppo tempo con indifferenza o tolleranza o complicità… che presente e che futuro avremmo avuto noi se a vincere fossero stati i fascisti e i nazisti?…La consapevolezza è che, se avessero vinto gli “altri”, la società nella quale saremmo stati costretti a vivere non sarebbe piaciuta neppure a quelli che oggi vorrebbero essere equidistanti tra fascismo e antifascismo….
…Per questo continueremo a commemorare cioè a condividere e scambiarci il ricordo tra generazioni perché nella vita del nostro presente ci accompagni sempre severo il giudizio inquietante di chi morì quando appena s’affacciava alla vita, affinché, grazie anche alla sua morte, libertà, giustizia, uguaglianza, pace, solidarietà non fossero più parole da pronunciare di nascosto, con la paura di pagarle duramente, ma diventassero il modo normale di vivere delle donne e degli uomini che fossero venuti dopo.”
Un commento
Anonimo
Commemorazioni come “anti-virus” per la società umana.Il corpo umano si crea e si accresce, partendo dalle staminali, cellule madri, le quali, possedendo il “ricordo” primordiale di tutte le altre cellule “specializzate” di cui è fatto, ne determina la vita.Quando un “virus” esterno lo attacca per distruggerlo, c’è bisogno di un anti-virus, che , riproponendo il “ricordo perduto”, ripristina l’equilibrio sconvolto.Secondo me, essendo la società umana paragonabile ad un organismo plurimo e complesso, come il corpo umano, anche essa ha bisogno di anti-virus, se attaccata in modo distruttivo, per ripristinare il ricordo di una società felice perché equilibrata, in armonia con l’universo.Allora, per me , determinate commemorazioni, come il prossimo 25 aprile, dovrebbero essere intese come “campagne di vaccinazione”, per inoculare nelle giovani generazioni l’anti-virus della sopraffazione per eccellenza dell’uomo sull’uomo, che è la guerra (per qualunque ragione dichiarata).Sono le “staminali” che ogni uomo deve trasmettere alle generazioni future, se vuole dare un senso alla propria vita.Mario Rosario Celotto.