Alla ricerca delle parole perdute…
Sarà capitato anche a voi! Soprattutto a quelli che hanno qualche anno in più. Quelli che possono stabilire, per questo, confronti tra i comportamenti di oggi e quelli di due o tre decenni fa. Immaginate di trovarvi tra clienti, in attesa, dai barbieri o dai parrucchieri; o tra i frequentatori abituali di bar o di circoli ricreativi; o tra invitati a feste, a cene o a cerimonie varie. Immaginate anche che, come spesso avviene, i personaggi in questione siano di varia estrazione sociale e culturale. Alcuni operai, altri professionisti; alcuni con titoli di studio, altri senza; alcuni “istruiti” altri quasi analfabeti.
Adesso provate a ricordare i loro discorsi, quando parlano di politica, di problemi sociali, di morale, di valori, di scuola, di sicurezza, di famiglia, di relazioni, di religione, di economia, di informazione, insomma delle questioni che interessano tutti. Ecco, fermatevi qui! Non vi pare che, se non conosceste personalmente la professione, la condizione sociale, il livello culturale delle singole persone, e doveste giudicare solo da quello che dicono, dovreste concludere che sul piano linguistico, sul piano concettuale, sul piano delle conoscenze o dei saperi, sul piano delle metodologie di analisi e sul modo di porre i problemi, non notate nessuna differenza tra i vari personaggi, a parte la tendenza di quelli, “troppo” consapevoli della propria condizione sociale, professionale o culturale, a prendere più spesso la parola o ad alzare la voce o a ritenere ovvia la validità delle proprie “tesi”?
Per il resto, la stessa identica povertà di linguaggio e di vocaboli. La stessa “banalità” nelle argomentazioni! La stessa “indifferenza” al senso delle parole pronunciate! Lo stesso “disamore” per lo strumento della parola! Lo stesso “oblio” per quelle parole che hanno costruito l’identità che consente a ognuno di “esistere”!
Provate a farlo, questo “esperimento”, se non lo avete mai fatto!
E qui entra in gioco la questione dell’età dei lettori di questo post. Perché a quelli, con “qualche” anno in più, apparirebbe evidente – confrontando situazioni analoghe – che alcuni decenni fa (diciamo… “solo” tre?) in quelle stesse situazioni sarebbe stato facile “distinguere” i discorsi di un laureato da quelli di un analfabeta, quelli di un professionista da quelli di un operaio o di un contadino senza studi alle spalle, quelli di una casalinga da quelli di una “dottoressa”, ecc. Insomma, sarebbe stato facile distinguere i discorsi di quelli che, per immeritato privilegio, avevano percorsi di studi alle spalle, da quelli che, senza colpa, erano stati privati del “diritto” alla conoscenza e, quindi, anche alla parola.
Vogliamo provare ad allargare il discorso a contesti esterni a quelli indicati? Vogliamo immaginare cosa succede nei discorsi o “dibattiti” – relativi alle questioni sopra ricordate – tra politici o con politici, tra giornalisti o con giornalisti, tra docenti o con docenti (di ogni ordine di scuola!), tra ecclesiastici o con ecclesiastici, tra imprenditori o con imprenditori, tra personaggi dello spettacolo, ecc.? Certo, se, ai vari tipi di personaggi di cui sopra, si chiedesse di trattare un argomento “tecnico” della propria “professione” è probabile che molti saprebbero esporre le loro argomentazioni con un linguaggio, una strumentazione concettuale e una metodologia di analisi tecnicamente ineccepibili (ma anche questo, forse, andrebbe, prima, verificato!), tuttavia, sulle questioni “serie” indicate sopra (politica, religione, scienza, economia, valori, educazione…ecc.), siamo sicuri che i loro discorsi si distinguerebbero – a parte qualche debita eccezione – da quelli che si ascoltano nelle situazioni citate all’inizio di questo post?
Volete fare la controprova? Mettete loro davanti un testo – mediamente complesso – da leggere e da interpretare, e noterete che parole, concetti o argomentazioni, che alcuni decenni fa non avrebbero presentato grandi difficoltà per una persona “istruita”, con un percorso di studi superiori alle spalle, oggi apparirebbero a quelle stesse persone altrettanto indecifrabili quanto potrebbe esserlo una pagina di fisica delle particelle per un bambino delle elementari!
Cosa è successo?
Si è “ristretto” il nostro linguaggio, il nostro vocabolario? È tutta colpa della televisione? O è il segno di quel degrado e di quella “povertà” della convivenza, della formazione e della comunicazione culturale, di cui questi ceti dirigenti saccenti, inetti e miopi che – ahimè! – ci sono toccati in sorte, in questi ultimi decenni, in tutti gli ambiti sociali, sono solo la punta visibile dell’iceberg? Sarà il frutto della standardizzazione, al livello più basso, della lingua? O è solo l’effetto della tirannia del “luogo comune”, che – in tempi di confusione tra “semplice” e “facile” – sembrerebbe aspirare ad occupare il posto della “cultura”? O è solo l’espressione del bisogno del mercato di trasformare tutti in “pubblico” omogeneo di consumatori-bambini?
Non sarà, invece, che abbiamo perso il “naturale” desiderio di “imparare a parlare”? Abbiamo perduto il piacere e il desiderio della parola e delle parole? In un tempo in cui si ritiene importante e “utile” imparare le lingue straniere, abbiamo, forse, perso la consapevolezza che conoscere il mondo non è altro che imparare a “parlare” del mondo? Abbiamo dimenticato che il sapere e i saperi non sono altro che modi di parlare del mondo, linguaggi del mondo, metafore del mondo? Non riusciamo più a capire che la politica, le persone, le cose, ma anche i sentimenti, Dio, la vita, il futuro, la libertà, la giustizia, la felicità, ecc. si “rivelano” a noi, umani, solo attraverso le parole, la complessità, l’allusività, l’ambiguità, la molteplicità e il fascino e l’avventura delle parole?
Chi può pensare che rimanendo digiuni di parole, ignorando o disconoscendo le “altre parole”, gli altri linguaggi e i diversi modi di parlare del mondo e della vita, saremo ugualmente in grado di capire gli altri e di “dire” noi stessi?
Siamo ancora capaci di cogliere la “magia” della “parola” e delle “parole” (di “tutte”, anche di quelle non ancora dette!)? Le parole, mai immobili e mai identiche, che ci hanno fatti umani? Le parole, “anima delle cose”?
A chi pensa, dimenticando l’origine della propria umanità, che la vita vera sia solo cose e fatti, è il caso di ricordare che le cose – tutto ciò che è e che può essere – cercano le parole per essere e per essere dette e senza di esse niente può venire veramente alla luce e alla coscienza!
È il caso di ricordare che – per noi umani – all’origine e alla fine è la parola!
3 commenti
Anonimo
“Saper Parlare è Potere!”Una volta si diceva: “Sapere è potere!”; intendendo dire che la Conoscenza seria, profonda di un argomento, la quale non può prescindere da un uso corretto delle regole linguistiche, pur non essendo sempre vincente, sull’arroganza del Potente di turno, ci permetteva di allestire una difesa, per cercare di volgere a nostro favore una argomentazione.Oggi, sempre più, con l’invenzione dei mezzi di comunicazione di massa, i nuovi “Potenti”, hanno intuito che per tenere “sotto” la Massa è più facile se, nel linguaggio, ci si fermi al “significante”, precludendo ai più l’accesso al “significato”.Ecco che “Saper parlare”, saper essere “affascinante, a prescindere da ciò che si dice veramente è diventato “Potere”.Ecco che l’insegnamento “tecnico” della lingua: la grammatica, per non parlare dell’ uso del vocabolario (importantissimo), a scuola, ha perso sempre più valore.Assistiamo, così a discussioni, nel quotidiano e soprattutto in Televisione ( ma anche sui giornali, leggiamo), in cui sentiamo: paroloni, tecnicismi, frasi forbite, ( che quasi sempre non sono indispensabili alla comprensione vera, anzi, spesso, l’allontanano); ma , alla fine, non abbiamo capito niente! Peggio… ci vergogniamo di dirlo.Come dicevo, il Potente di turno ci ha “concesso” il “significante” , l’involucro del linguaggio, ma non il “significato”, il suo contenuto: la comprensione vera dell’argomento trattato.Allora , il riscatto sociale vero, rivoluzionario, non può prescindere dal ri-appropriarsi delleTecniche del Linguaggio, per una vera, corretta interpretazione dei fatti, per dominarli e indirizzarli, democraticamente, al Bene comune.Mario Rosario Celotto.
Anonimo
Il problema che tu, caro Pino, poni e che Mario Rosario riporta alla sua radicalità politica, non è di facile soluzione: siamo in presenza di una fase dell'evoluzione umana, nella quale noi “parlanti” (capaci di attingere il “significato” oltre il “significante”) conviviamo con una diffusa presenza di “non parlanti” o di parlanti solo a livello di significante. Ma questa diffusa presenza è un ritardo nell'evoluzione o è uno stadio avanzato che rende noi “parlanti” un relitto fossile? Se in principio era il Verbo, è al Verbo che dobbiamo tornare o, meglio, è al Verbo che dobbiamo indirizzare la nostra miseria palpitante. Altrimenti, invece…???
Anonimo
Senza le parole “niente può venire veramente alla luce e alla coscienza!” Il bambino è chiamato “infans”, “colui che non ha la parola”, perché, appunto, non ha la coscienza del sé e del mondo. “ĺncipe pàrve puèr risù cognòscere màtrem” (Virgilio, Bucoliche, IV).“Comincia bambinello a riconoscere la mamma col sorriso”È L'amore materno che sollecita il primo riconoscimento.Senza le parole “niente può venire veramente alla luce e alla coscienza!” Parola e luce…onde sonore luminose di senso!“Nèc sine té quicquàm diàs in lùminis òras éxoritùr …” (Lucrezio)“E senza di te niente nasce alle divine (ma anche “luminose”) spiagge della luce”. E qui il “te” è Venere, emblema dell'amore generatore di vita, bellezza e pace. Parole della poesia che illuminano la coscienza e riaffiorano alle labbra in melodia!“Melodia” e “grazia” dovrebbero tornare ad “essere” negli uomini!Ora mi cerca la “gratitudine”, che dalla grazia ha origine. Da questo stato sorgono le parole:Buon Natale!