Il confine sottile tra divulgazione e fake news
La divulgazione culturale non esiste più, o, quando c’è, sembra quasi sempre il regno dell’incompetenza e dell’approssimazione.
D’altra parte, c’è poco da stupirsi, perché lo stato pietoso della divulgazione scientifica, e culturale in genere, è un chiaro segnale del cattivo stato dell’informazione, la grande malata di oggi.
Non credo sia lontano dal vero perciò ritenere che il degrado della divulgazione è una delle principali ragioni della diffusione delle fake news e del regime di post-verità, che di quella diffusione è per così dire l‘istituzionalizzazione.
Dovremmo forse dire che la situazione in cui ci troviamo rappresenti, in un certo modo, addirittura il fallimento del progetto “illuministico”? O, come sostiene Peter Sloterdijk, dobbiamo pensare che l’uomo d’oggi sembra non più educabile? Se è vero, come egli pensa, che l’abolizione della nobiltà in tutti i suoi significati si è trasformata nell rifiuto dell’ idea stessa di “nobiltà” e di ogni “dimensione verticale” e quindi nella connessa marginalizzazione dell’obiettivo del necessario miglioramento di sé, appunto in un senso “verticale”. Forse è anche qui la radice della crisi dell’antropologia contemporanea (P. Sloterdijk, Dopo Dio, Cortina ed,)
Anche per questo, probabilmente, ci ritroviamo oggi a baloccarci con una affermazione idiota e pedestre del cosiddetto “principio dell’uno vale uno”, fino a far saltare la distinzione tra sapere e non sapere, e fino a rendere incomprensibile e quasi superfluo, perciò, per i più, anche il senso del progetto culturale-educativo illuministico.
Altrimenti, perché staremmo assistendo, relativamente ai più diversi ambiti del sapere (scientifico, storico, filosofico, ecc.) a una spinta precipitosa verso una indecente «volgarizzazione» della divulgazione, in cui ognuno si considera onnisciente?
Sarebbe ora di cominciare a gridare: liberateci dai divulgatori di professione, senza memoria e senza adeguate competenze! Liberateci dai divulgatori improvvisati, senza seria formazione e preparazione specifica! Liberateci dagli innumerevoli divulgatori “tuttologi”, laureati a furor di audience, indipendentemente da quello che dicono. Liberateci da tutti coloro che si sentono obbligati a dirci “la loro”, urbi et orbi, su ogni ambito dello scibile.
Abbiate pietà di noi! Abbiate pietà di noi ascoltatori, di noi spettatori, di noi lettori di giornali, di rotocalchi o magazine.
Lasciateci nella nostra ignoranza, piuttosto, invece di inquinare le nostre menti con approssimative e devianti post-conoscenze!
È incredibile che nei settori culturali più diversi si vedano spuntare come funghi «divulgatori» autoconfezionati, a cui vengono affidati compiti di divulgazione culturale, o perché si sono imposti alla ribalta mediatica, o perché costano poco, o perché, peggio, i committenti pensano che nella divulgazione culturale e scientifica, i danni che si potrebbero produrre, non sono poi così gravi. Sarebbe il caso, invece, di cominciare a convincersi che i danni prodotti da una cattiva divulgazione, così come quelli prodotti da cattivi maestri, sono più catastrofici, per il futuro delle comunità umane, di una bomba atomica!
In realtà, il danno è ugualmente grave e, spesso, irrecuperabile, sia nel caso di divulgatori approssimativi e incompetenti che pretendono di poter parlare di tutto, per sentito dire, come fanno gli amici ai tavolini del bar di quartiere, sia nel caso di divulgatori con specifiche competenze, che pensano di essere autorizzati a parlare pubblicamente di tutto, solo perché hanno un titolo o sono specialisti di un settore specifico, o magari solo perché sono stati premiati per qualche loro lavoro in un settore determinato del sapere.
Certo, se noi paragonassimo quelle che una volta erano chiamate le “terze pagine” dei giornali, dove il compito di divulgazione era affidato ad autorità riconosciute nei vari campi del sapere, – da quello scientifico a quello umanistico, da quello artistico a quello storico, ecc., – se noi paragonassimo quelle terze pagine a certi “pezzi” che oggi siamo costretti a leggere su “grandi” o “piccoli” giornali o nelle rubriche culturali dei media, dove la divulgazione sembra affidata al primo che capita, o magari a “star” dei media, perché fanno audience o solo perché competenti in qualche campo specifico, penseremmo di essere capitati su qualche pianeta indecifrabile dell’universo “culturale”.
Appunto, il pianeta delle fake news, o delle finte o mezze verità. Il pianeta dove nessuno si accontenta di far bene il proprio mestiere!
È vero che un divulgatore non deve solo sapere ma anche saper comunicare, ma nessun buon comunicatore può divulgare quello che non conosce in modo ampio e approfondito.
Tanti dibattiti e articoli degli organi di informazione durante la pandemia ci hanno fatto toccare con mano sia il degrado della divulgazione e dell’informazione, sia la presunzione diffusa di poter esprimere pareri su tutto lo scibile, senza nessuna consapevolezza autocritica. Ed è probabile che tutto questo lascerà, tra l’altro, un segno di lunga durata sul tipo di percezione collettiva della scienza.
È forse il caso di concludere, riformulando un noto detto: la divulgazione culturale è un affare troppo serio, per lasciarlo in mano ai divulgatori!