LA RAGAZZA E LA STORIA
A che serve la storia? A che serve conoscerla? Una giovane studentessa, attenta nelle analisi, alla fine del percorso di studi liceale, raccogliendo le idee sull’argomento storia, si è chiesto: ma a che serve la storia? La cosa interessante, però, è stata scoprire che, in questo caso, la domanda non era prodotta da quell’atteggiamento puramente pragmatistico, subalterno alle logiche mercatistiche dello “scambio”, molto comune tra gli studenti (ma non solo tra loro!), che si chiedono spesso: a cosa mi serve lo studio di questa o quest’altra materia?, a cosa mi potrà servire per la mia professione futura? E neppure era prodotta dal desiderio, comprensibile negli studenti un po’ svogliati, di ridurre la quantità degli argomenti da studiare. La preoccupazione, invece, che ha spinto quella studentessa a porsi quella domanda era di un genere molto più responsabile, serio e drammatico! Infatti l’interrogativo vero era: a che serve conoscere la storia se gli esseri umani, pur conoscendo le tragedie e gli errori del passato non smettono di ripeterli? Cosa imparano gli esseri umani dallo studio della storia? Cosa hanno imparato gli abitanti di questo pianeta dalla storia tragica del 900, per esempio?
Credo che a quel genere di questione si possa tentare di rispondere con due osservazioni.
Prima di tutto proprio guardando alla storia del 900, a qualche settimana dalla commemorazione del 25 aprile, si potrebbe osservare che, dall’analisi di quegli eventi a cui si riferisce la ricorrenza del 25 aprile, emerge anche una lezione che, in un certo senso, riscatta il genere umano.
Infatti con il 25 aprile non ricordiamo solo uno scontro per il dominio del mondo e delle sue risorse; non ricordiamo soltanto la vittoria di una alleanza di paesi democratici su quelli nazi-fascisti; non ricordiamo solo la lotta per la liberazione di paesi occupati.
La storia che raccontiamo in quella data ha rappresentato uno di quei rari momenti della storia dell’umanità, in cui è emersa, con forza, la consapevolezza che si trattava di prendere posizione relativamente a un progetto di umanità e di antropologia, a una forma di civiltà e di valori umani, da cui sarebbe dipeso, in ogni caso, il destino della comunità umana. Non a caso, da quella esperienza è emersa una più chiara coscienza dell’identità umana, che si è tradotta in quel Manifesto programmatico del genere umano, in quella pietra miliare nel cammino dell’umanità, che è la Dichiarazione universale dei diritti umani. Nonostante il carattere sempre precario che, come altri, ha anche questo stadio della coscienza umana, tuttavia, quello che è accaduto è forse la rivelazione che la comunità umana ha in sé – come collettività – l’energia e la luce per ritrovare la strada, quando quella strada sembra persa! E allora, sapere e continuare a ricordare tutto ciò può rappresentare un motivo di speranza e l’indicazione chiara di una direzione di marcia!
Anche un altro ordine di osservazioni può derivare dalla storia del 900. Proprio quel Novecento tragico che non potremo, noi e quelli dopo di noi, dimenticare. Proprio quel 900 così orrendo da spingere alcuni storici a descriverlo come il secolo della catastrofe! Bene, proprio da quel secolo, dall’interno di quelle tragedie, dal buio di quella “notte”, è emersa la capacità di sentire, interpretare e riaffermare l’unità della comunità e della speranza umana. “Quella speranza che non vuole il bene di alcuni e il male di altri, non tollera la divisione tra sommersi e salvati, non ammette la sua appropriazione da parte di nessuna fazione”(R. Mancini, Sperare con tutti, Ed. Qiqajon), né accetta la riduzione di qualunque essere umano a mezzo e strumento di altri esseri umani.
Proprio quel Novecento, che spesso viene indicato, con superficialità, come il secolo unicamente pervaso, nello stesso tempo, da ideologie totalitarie e da relativismo e nihilismo, ha visto emergere orientamenti di pensiero e sensibilità che non hanno tradito la loro fedeltà all’umanità e alla speranza umana. Come interpretare la fenomenologia, l’esistenzialismo, l’ermeneutica, il pensiero neoebraico, le teorie critiche della società, il pensiero maieutico, le filosofie della non violenza, quelle dell’alterità e della differenza, o anche le nuove teologie in dialogo con il sentire contemporaneo? Senza considerare tutto quello che è venuto, in continuità anche con quelle correnti filosofiche e culturali, da protagonisti significativi della letteratura, della musica e dell’arte!
Come non amare la storia se ci racconta anche queste altre storie?
Un commento
Anonimo
Perché studiare la Storia ?Quando si parla dell’uomo e della società in cui opera, non si fa altro che parlare della sua storia.La storia non è altro che la carta d’identità dell’uomo, come singolo, e della società, fatta di tanti singoli.Senza l’identità, si capisce da sé, non esisterebbe né l’uomo né la sua società.Del resto, anche dal punto di vista strettamente biologico, l’uomo non è altro che l’evoluzione “storica” di una cellula primordiale, vagante nell’universo e il suo studio storico- scientifico ha permesso all’uomo di progredire nella difesa fisica della sua specie , proiettandosi verso un futuro sempre migliore: la Storia è il propellente indispensabile per il Futuro!Ritornando alla storia politica, da sempre, un popolo sopraffattore ha intuito che, per completare e rendere definitiva una vittoria su un altro popolo, doveva, innanzitutto, cancellarne, quanto più possibile, la STORIA; doveva cancellarne l’identità.Per cui, il primo obiettivo di una riconquista, non effimera, della libertà non può che essere la ricerca della propria STORIA, della propria identità.(Un piccolo esempio, molto vicino a noi, si è avuto quando il Fascismo obbligò , tra l’altro, gli Altoatesini ad italianizzare i propri nomi e i nomi dei propri paesi, nel tentativo, fortunatamente non riuscito, di annullarli come identità estera)Vorrei aggiungere che lo studio della STORIA , nella sua complessità, non può prescindere dallo studio della GEOGRAFIA.La Geografia non è altro che lo studio della storia della Terra, dal punto di vista fisico (geografia fisica).Poi c’è la Geografia politica, che già nell’aggettivo ci fa capire lo stretto collegamento con la Storia e l’inevitabile influenza reciproca ai fini dell’identità di una Società.Come si vede , o Storia o Geografia si parla d’IDENTITA’, da cui non si può prescindere, se si vuole parlare dell’UMANITA’.Mario Rosario Celotto