Salvate il messaggero Bruno!
“Voglio volare! …Voglio che finalmente la mia coscienza possa esplodere come un astro luminoso, che ogni cellula del mio corpo diventi spirito!”
Mentre leggevo queste ultime frasi di Tre storie magiche di A.Jodorowsky, a distanza di qualche giorno dalla ricorrenza dell’anniversario del rogo di Giordano Bruno, mi è venuto naturale pensare che avrebbe potuto pronunciarle anche lui, quasi come l‘auspicio di un’era nuova e di potenzialità umane fino allora impensabili. Del resto in alcune sue pagine dove “annuncia, con l’entusiasmo del prigioniero, che vede cadere le mura della sua cella, il crollo delle sfere che ci separano dai vasti spazi vuoti e dagli inesauribili tesori del perennemente mutevole, eterno e infinito universo” (A. Koyré), quel pensiero si trova con espressioni quasi analoghe. Questo genere di riflessioni mi ha poi riportato a un’idea che si è accompagnata più volte alla mia lettura di Bruno. E, cioè, alla convinzione che, oltre al Bruno filosofo, martire della libertà di coscienza, letterato, ecc., esiste un altro Bruno, molto attuale e significativo per noi, che andrebbe messo in luce e analizzato, se non altro perché, oggi, siamo in grado di apprezzarlo con più cognizione di causa.
Si tratta del Bruno che vedeva la sua opera e i suoi scritti, essenzialmente, come “messaggio”, e interpretava se stesso soprattutto come “messaggero”. In realtà, credo che Bruno si sentisse soprattutto un intellettuale, un artista, consapevole, in modo speciale, della sua funzione di “messaggero” di un’era nuova e di “comunicatore“: per questo le parole e i concettierano per lui soprattutto segni, simboli, vessilli, messaggi e “armi”. Bruno usava i concetti come “metafore”, dando loro una valenza semiotica insospettata, che andava molto al di là dell’uso “scolastico” che di quelle categorie facevano filosofi e teologi del suo tempo. È già in Bruno la consapevolezza, che è nostra, del ruolo speciale del linguaggio, che richiede sempre continua ricerca, peregrinare, cercare “per largo e per profondo” “mai fermando i passi ciò che è oltre e oltre”.
Perciò l’analisi solo teorica e teoretica del suo pensiero non gli rende giustizia, perché è riduttiva e non spiega l’impatto enorme che la sua figura e il suo pensiero hanno avuto, non a caso, soprattutto nella nostra cultura contemporanea. Non credo occorra considerare il pensiero di Bruno come “un sistema” da accettare o rifiutare in blocco. Non credo sia molto importante salvare questa o quella teoria di Bruno, giustificare questo o quell’aspetto della sua vita, come fanno quelli che pretendono di trattenere, in un campo o in un altro, un uomo, che è stato fondamentalmente un solitario e un outsider. “Fastidito” accademico di nessuna academia! Un autore del genere può essere letto soltanto al plurale, andando oltre, oltre la lettera del testo, oltre il suo tempo, oltre Bruno stesso. Appunto, leggendo i suoi testi come “messaggio”.
L’intento di farsi soprattutto narratore e annunciatore di un mondo nuovo, spiega l’attenzione di Bruno sul piano letterario ad esperimenti linguistici vivaci ed efficaci (Dilthey ne sottolineava, per questo, l’intenzionalitànell’uso del volgare, ma le opera latine non sono da meno sotto questo aspetto). Ecco perché andrebbe posto in primo piano e studiato l’uso del linguaggio di Bruno: i diversi livelli e la multivocità, l’intenzionale carattere polisemico del suo discorso. Bruno operava sui termini e sui concetti per trasformarli, non li trattava come “dati”, non si accontentava della loro compiutezza e finitezza, ma, per così dire, ne estraeva la dimensione evocatrice, li metteva in prospettiva, costruiva su di essi tutte le proiezioni possibili, perché se ne potessero intuire gli sviluppi e le ricadute su tutte le altre regioni del sapere e del vivere.
E in effetti, come scrive Ciliberto, nel Lessico di Giordano Bruno, “pluralità di linguaggi e pluralità delle filosofie, nesso tra lingua e astronomia; rapporto tra lingua e filosofia, intreccio tra riforma della lingua e riforma etico-conoscitiva, e infine la ricerca di una lingua ‘naturale’ e ‘operativa’, antipedantesca, capace di esprimere la varietà dei linguaggi della realtà”, sono aspetti dell’autocomprensione di Bruno, la cui analisi è essenziale se si vuole capire la novitàdi Bruno e non impoverirne il ruolo.
La sua consapevolezza appare chiaramente a tale riguardo, sia dalle sue opere che dalla sua vicenda personale. Se infatti leggiamo ciò che scrive con un occhio più attento alle sfumature, al suo linguaggio, poetico, evocativo e talora favolistico, colpirà anche noi, come scrive Lovejoy, il fatto evidente che Bruno è, in modo speciale e consapevole, intento a predicare le sue dottrine per l’Occidente d’Europa con il “fervore di un evangelista“. È per questo, forse, che la sua visione del mondo appare “tanto possente e profetica, tanto sensata e poetica, che non possiamo non ammirarla” (Koyré); per questo ha influenzato profondamente, almeno nei tratti formali, la scienza e la filosofia moderne, pur non essendo uno scienziato e non intuendo, Bruno, il valore della matematica, aggiunge Koyré.
Profetico? Sì, perché si sentiva senz’altro l’annunciatore di un nuovo mondo e di una nuova umanità. Anche se non sempre è stato capito dai suoi contemporanei. Basta pensare alla difficoltà, di un Keplero, di comprendere l’entusiasmo di Bruno per l’infinità: “questo solo pensiero porta seco non so qual occulto orrore; stante che si ritrova in questa immensità, alla quale si negano confini, un centro, e perciò anche luoghi certi“. “Non è bene, nota Keplero, per il viaggiatore vagare in questa infinità“. E invece era proprio quello che Bruno si proponeva di fare e di suggerire ai suoi contemporanei. Invitarli a osare! È evidente anche la convinzione di Bruno di trovarsi a svolgere una missione decisiva, per quanto riguardava i rapporti dell’uomo con il mondo, con la creazione e anche con Dio.
Bruno un visionario dunque? Sì, anche. Di quelli necessari in epoche di profonde incertezze, rivoluzioni e rivolgimenti. In epoche di conflitti radicali di linguaggi e di interpretazioni. Come era la sua epoca. E come è la nostra! Per noi, che guardiamo gli sviluppi storici dal loro punto di arrivo, forse è difficile comprendere l’arditezza, la temerarietà e l’azzardodi chi osava indicare la strada e la meta, quando niente era definito e tutto appariva incerto vago e oscuro.
Allora Bruno, che sceglie di essere “messaggero”, una risorsa per noi oggi? Sì! Direi, proprio per questa potenza profetica e poetica, cercatrice di senso nuovo. Alla ostinata ed entusiasta ricerca di un supplemento di senso! Anche quando le coordinate del mondo sembrano sfaldarsi, al punto da far paura. “Non è bene per il viaggiatore vagare in questa infinità”: e non era uno qualunque a dirlo!
Bruno, messaggero, in tempi di confusione e conflitti di ogni genere. Anche i testi ermetici, da lui amati, con la convinzione che il vero sapere si dischiude solo agli iniziati, attraverso una rivelazione che mostra all’uomo i tratti non tanto di ciò che è ma di ciò che può diventare (A.Ingegno), incoraggiavano Bruno su questa strada, che gli faceva concepire se stesso come l’uomo destinato a rinnovare saperi e mondo.
Forse Bruno è entrato nella storia ed è diventato grande, non soltanto perché è andato contro chiese, istituzioni e idee del suo tempo, ma perché è riuscito ad andare al di là del suo tempo, ad andare “oltre”. Come i narratori di storie, gli affabulatori, gli artisti, i poeti e i sognatori. Come, appunto, Bruno “il mago, l’artista della memoria, il materiosofo, l’ontologo delle immagini e il maestro di metamorfosi che procedono in tutte le direzioni” (P. Sloterdijk).
È davvero interessante ciò che scrive, a tale riguardo, Peter Sloterdijk, secondo cui la riscoperta delle dottrine bruniane circa la capacità costitutiva del mondo, propria della “fantasia”, “documenta un aspetto misconosciuto nel mito della : illustra cioè il sorgere della modernità dallo spirito di una filosofia dell’immaginazione”, che rende molto discutibile “l’indolente tendenza degli storici delle idee a costruire il pensiero moderno a partire unicamente da Descartes”.
Infatti, nelle sue mani le parole riuscivano a dire quello che altri suoi contemporanei non riuscivano né a dire né a pensare e, quindi, neppure a capire, soprattutto là dove i concetti esplodono e implodono allo stesso tempo. Per questo ciò che oppone, in modo tragico, Giordano Bruno ai suoi accusatori, ai suoi giudici, ai poteri e agli intellettuali del suo tempo, il dramma di Bruno, è anche, in modo rilevante, un dramma della comunicazione umana, un dramma del linguaggio e del senso. Forse, all’origine del tragico conflitto tra Bruno e il sapere del suo tempo c’è, proprio, da un lato, l’impossibilità di dire fino in fondo la complessità e la “fluidità” della realtà, utilizzando le categorie concettuali a nostra disposizione e, dall’altro, nello stesso tempo,l’urgenza di farlo.
Noi, oggi, riusciamo a trovare, in alcune sue idee e metafore e nei suoi atteggiamenti, un senso in sintonia con la nostra sensibilità, e, in un modo che non sarebbe stato possibile ai suoi contemporanei, riusciamo a “leggere” e decifrare immagini e simboli, perché, attraverso il suo pensiero, la sua fantasiae il suo linguaggio, le cose hanno trovato la voce per essere dette, e noi abbiamo il vocabolario adatto per ascoltare quella voce. Succede con Bruno quello che capita con altri grandi pensatori, artisti, visionari e poeti: essi riescono a dire molto più di quanto pensano, attraverso il modo, originale e creativo, in cui hanno saputo usare, associare, “combinare” parole, immagini, simboli e suoni.
È così che ci aiutano ad andare oltre. Anche oltre loro stessi.
2 commenti
Anonimo
Come si può comprendere l'atto poetico e la poesia se non immaginando una deflagrazione nell'universo della parola incarnata che si propaga, spirito messaggero, tra i mondi infiniti nello spazio e nel tempo? In tal senso la coscienza, tesa nello sperimentare la parola, esplode profetica e si trasforma nei segni tangibili, nei testi – messaggio interpretabili all'infinito, che ogni volta si reincarnano in chi li interpreta. Lo sapeva bene lo sperimentatore Dante e perciò, in apertura del Paradiso, invocò Apollo, quasi gridando: “entra nel petto mio e spira tue sì come quando Marsia traesti dalla vagina della membra sue”. Il “vero poetico” sussiste oltre lo spazio e il tempo, nel desiderio della parola ispirata affinché “la coscienza possa esplodere” in cellule – segni, che “diventino spirito”.
Anonimo
Bruno, ergo cogito