L'Europa è i suoi Caffè
“L’Europa è i suoi Caffè”, è il primo di cinque assiomi che, secondo George Steiner, definiscono la sostanza dell’Europa, e che egli espone nell’appassionato libretto Una certa idea di Europa.
Probabilmente noi, oggi, dopo l’esperienza di “confinamento”, a causa della pandemia, quando la questione dell’apertura o meno dei caffè o dei bar ha assunto un ruolo insolitamente decisivo, siamo meglio in grado di cogliere tutto il senso culturale ed esistenziale di quella sorprendente e suggestiva affermazione.
In effetti, ci sono momenti e periodi della nostra vita, nei quali sentiamo e comprendiamo vagamente che il senso del nostro vivere è associato, in gran parte a posti, a luoghi, e anche a oggetti, considerati di norma insignificanti, perché troppo “ordinari” o addirittura “banali”. Ma proprio in quei momenti capiamo che la nostra vita non sarebbe la “nostra” vita, senza quei luoghi, quei posti, quegli oggetti, quei dettagli, anche se, in linea teorica, appaiono del tutto non essenziali e non necessari.
Le analisi di George Steiner, scrittore e saggista originale e raffinato, innamorato dell’Europa, e dell’Italia in modo speciale, scomparso il 3 febbraio scorso, aprono sempre orizzonti e prospettive nuove e cariche di senso. Personalmente ai suoi scritti, come La lezione dei maestri, devo molto.
Ebbene, con quel suo assioma, George Steiner ci spinge a pensare che, in tutto ciò che è umano, più sovente di quando non immaginiamo, “licet parva componere magnis”. Associare i Caffè all’idea di Europa, alla “sostanza” dell’Europa, è sorprendente, ma può diventare utile o addirittura necessario, per coglierne lo spirito, la cultura e l’idea stessa, “una certa idea” dell’Europa, appunto.
George Steiner, per far emergere la specificità dei Caffè europei continentali, comincia con il sottolineare quelle che egli considera. “le differenze ontologiche” con i pub inglesi o i bar irlandesi, che lui conosceva bene.
Anche quelli, dice, hanno “un’aura e una mitologia”. Ma, non sono caffè. Non c’è la scacchiera, non c’è il quotidiano del giorno a disposizione dei clienti, gratuitamente. Solo di recente infatti la tazzina di caffè è diventata un’abitudine britannica, e “in ogni caso in Inghilterra quella bevanda tradisce ancora la sua origine italiana”. Anche negli Stati Uniti, continua, il bar ha un ruolo vitale nella letteratura e nell’erotismo americani. Pensiamo qui al jazz. Ma, nota George Steiner, nel Nord-America il bar è “un santuario di luci soffuse, e spesso è immerso nell’oscurità. Pulsa al ritmo della musica, spesso assordante”. “In America nessuno scrive tomi di fenomenologia seduto al tavolino di un bar”. “Perché il cliente continui ad essere gradito, deve continuare a fare ordinazioni”.
Insomma lì, scrive Steiner, c’è “un ethos” molto diverso da quello dei caffè europei.
Ecco, questo è il punto: l’ethos. È qui che occorre fare uno sforzo ulteriore per capire perché George Steiner dà ai caffè europei quel carattere così essenziale per farsi un’idea dello spirito dell’Europa. Infatti, se, come soleva tradurre Heidegger, il termine greco “ethos” indica “l’abitare”, allora l’ethos dei caffè europei indica un modo di abitare, un modo europeo di “stare” al mondo. Traduce una visione della vita. Ecco perché è così fondamentale.
Si tratta di un modo tipico di sperimentare il semplice abitare, il puro “stare” tra umani, al di là dei confini di famiglia, di clan, di gruppo, di appartenenze di ogni genere,
Penso che a chi, anche tra i lettori di questo pos, dovesse arricciasse il naso e rimanere perplesso nel sentirgli affermare che “l’Europa è i suoi caffè”, Steiner potrebbe tranquillamente rispondere come rispose Eraclito ad alcuni suoi visitatori sbigottiti e delusi per averlo trovato in un sito per loro non degno della sua dignità di Maestro: “Ειναι γαρ και ενταυθα θεους“, anche qui occorre riconoscere il divino! Anche qui è la sostanza dello spirito Europeo! Infatti, egli scrive: “I parafulmini devono essere saldamente infissi nel terreno. Anche le idee più astratte e speculative devono essere ancorate nella realtà, nella materia delle cose”, nella carne quotidiana della gente.
“Dal locale di Lisbona amato da Fernando Pessoa ai Cafès di Odessa frequentati dai gangster di Isaac Babel. Dai caffè di Copenhagen, quelli di fronte ai quali passava Kierkegaard nel suo meditabondo girovagare”, fino a quelli di Venezia, Roma, Napoli o Palermo e tanti altri caffè che si potrebbero qui citare, abbiamo a che fare con qualcosa di più di un semplice luogo di ritrovo. C’è dell’altro, è il caso di dire.
Insomma, sostiene George Steiner, sarebbe bene ricordare che “chi voleva incontrare Freud o Karl Kraus, Musil o Carnap, sapeva esattamente in quale caffè doveva andare, e a quale tavolo erano soliti sedersi. E poi, “l’ultimo incontro tra Danton e Robespierre ha avuto luogo al Cafè Procope. E quando si spensero le luci sull’Europa, nell’agosto del 1914, Jaures venne assassinato in un caffè. Ed è in un caffè di Ginevra che Lenin ha scritto il suo trattato sull’empirio-criticismo e giocato a scacchi con Trockij”.
E, allora, possiamo separare lo spirito europeo dai Caffè?
È per questo che per Steiner, come scrive Mario Vargas Llosa nella prefazione al libretto citato, “l’Europa è innanzitutto un caffè pieno di gente e di parole, in cui si scrivono versi, si cospira, si filosofeggia e si pratica la conversazione civile”; è anche il luogo dove si fanno pettegolezzi, perché anch’essi compongono l’ordinarietà e la banalità della vita; è infine il luogo dove si sta insieme, per ore, magari senza dire niente; insomma, il luogo dove si “abita” e si vive.
Si, i caffè sono il luogo umano del “luminosamente inutile”, perché sono il luogo dell’incrociarsi delle esistenze, dei racconti, dei ricordi, delle illusioni, delle parole e dei silenzi. Il luogo dove vivere il tempo e lasciarsi trasportare dal tempo.
Sì, i caffè europei sono parte di quei pochi luoghi umani dove è più agevole imparare a condividere “l’ambiguo peso del tempo”e della memoria.