La filosofia e la lezione del cinema

Il filosofo può essere solo uno spettatore ingenuo. In questa frase si ritrova l’eco sia della meraviglia, che secondo Aristotele è all’origine della conoscenza della realtà, sia del non-sapere socratico, senza il quale noi saremmo chiusi al nuovo e all’ignoto.

In questa ottica comprendiamo meglio perché Gilles Deleuze colloca la filosofia nel contesto del cinema e viceversa. Le riflessioni svolte in una sua conferenza e in due interviste, raccolte e ripubblicate recentemente da Edizioni Cronopio, con il titolo Che cos’è l’atto di creazione, si fermano anche su alcune analogie profonde e interessanti tra le due discipline, cinema e filosofia.

Così come il filosofo è sempre uno spettatore ingenuo, anche chi guarda il grande cinema deve essere solo uno spettatore ingenuo, se vuole cogliere gli stimoli, l’inatteso e le aperture possibili di quella dimensione del reale.

Gilles Deleuze non credeva alla morte della filosofia, e neppure credeva alla morte del grande cinema.

Quelli che dicono ‘oggi non ci sono più autori’ ritengono che sarebbero stati capaci di riconoscere quelli di ieri, quando erano ancora sconosciuti. È una presunzione, notava il filosofo.

Come il grande cinema non si limita a rappresentare la realtà, ma crea nuove possibilità, nuove “verità” o prospettive, così il compito primario della filosofia non è analizzare ciò che è già dato, neppure riflettere sulle cose, ma creare, e immaginare concetti.

Infatti, per Gilles Deleuze, il cinema è una forma di pensiero vera e propria, non solo un oggetto da analizzare filosoficamente.

Entrambe le discipline, filosofia e cinema, sono attività creative che producono pensiero.

Per questo, il cinema non è semplicemente un’arte che può essere “interpretata” dalla filosofia, né un modo per illustrare concetti filosofici. Al contrario, il cinema stesso fa filosofia creando concetti. Se la filosofia crea concetti attraverso il linguaggio, il cinema li crea attraverso immagini e suoni, generando “blocchi di movimento/durata” e “blocchi di tempo” che sfidano il nostro modo di pensare e percepire.

Capiamo così il senso delle domande con cui si apre la sua conferenza agli studenti della FEMIS (École nationale superieure des métiers de l’image et du son): “cosa fate voi che fate cinema? E io che cosa faccio quando faccio o spero di fare filosofia?

Belle domande, del tipo di quelle essenziali, e, per noi, oggi forse ancora di più, fondamentali.

Riusciamo a immaginare la valenza che avrebbero oggi domande analoghe, se se le facessero, non solo artisti o filosofi, ma anche scienziati, governanti, docenti, religiosi, imprenditori, politici, ecc.?

Ma, torniamo a Gilles Deleuze, e alle sue riflessioni.

Io ho potuto scrivere sul cinema, diceva, non per un presunto diritto di riflessione, ma quando dei problemi filosofici mi hanno spinto a cercare delle risposte nel cinema, anche se queste risposte rimettevano sul tappeto altri problemi.

In altre parole, l’incontro tra due discipline molto diverse, apparentemente, come cinema e filosofia, non avviene quando l’una si mette a riflettere sull’altra, ma quando una delle due si accorge di dover risolvere per proprio conto e con i propri mezzi un problema simile a quello che si pone anche nell’altra”.

Sappiamo infatti che spesso problemi simili, in momenti diversi o condizioni diverse investono scienze e saperi diversi.. Così come le medesime scosse possono talora investire terreni completamente diversi.

Tuttavia, sosteneva Deleuze, non dovremmo aver difficoltà a cogliere queste dinamiche della cultura e della conoscenza, se riflettessimo sul fatto che non c’è nessun opera che non abbia il suo seguito o il suo inizio in altre arti.

Ogni lavoro si inserisce in realtà in un sistema di connessioni.

Non c’è uninizio così come non c’è una fine“…. “Si arriva sempre nel mezzo di qualcosa, e si crea solo nel mezzo, dando nuove direzioni o biforcazioni a delle linee che preesistono”.

Ciò che è interessante nella filosofia, secondo Gilles Deleuze, è che essa propone un taglio delle cose, un nuovo taglio: essa cioè riunisce nello stesso concetto cose in apparenza diverse e ne separa altre molto vicine.

Ma anche il cinema fa qualcosa di simile. Anche il cinema è un taglio, una ripartizione peculiare di immagini visive e sonore.

Ma, attenzione: nel cinema sono le immagini che impongono allo spettatore un certo uso dei suoi occhi e delle sue orecchie. Ecco perché, anche di fronte al film lo spettatore deve essere sempre, se ci riesce, spettatore ingenuo.

Un’immagine non rappresenta una realtà presupposta, che deve essere interpretata e portata alla luce: “essa è per se stessa tutta la sua realtà”.

Le immagini infatti sono i concetti del cinema, proprio come i concetti della filosofia sono sempre anche immagini.

Anche i concetti della filosofia infatti sono immagini, immagini di oensiero.

Perciò “comprendere un concetto non è né più difficile, né più facile che guardare un’immagine”.

Qui c’è, mi pare, un punto cruciale e carico di conseguenze delle riflessioni di Deleuze sulle analogie tra cinema e filosofia.

Dovremmo smettere di pensare il concetto solo come essenza astratta e provare a pensarlo soprattutto come immagine e come evento,

Ci serve provare a guardare – sì, “guardare” – i concetti come eventi, immagini e segni. In fondo, sottolinea Gilles Deleuze, le classificazioni disciplinari sono sempre una forma di sintomatologia: abbiamo dei segni da cui tirare fuori dei concetti che alla fine si presentano però come eventi, non come essenze astratte.

Anche il cinema, ovviamente, andrebbe inteso non come linguaggio ma come una materia segnaletica.

E se incominciassimo a guardare la filosofia, il cinema, e le varie discipline soprattutto come materie segnaletiche, come complessi di segni, immagini e simboli, per addentrarci nel reale?, sembra chiedersi, e chiederci, Gilles Deleuze.

Questa immagine dell’addentrarci, ci dice molto dell’esperienza del cinema e della sua capacità euristica.

Il cinema infatti non mette il movimento solo nell’immagine, ma lo trasferisce nello spirito. Ecco perché il cinema – nota Deleuze – è così adatto a scavare nella nostra vita spirituale.

Cos’è infatti, la vita spirituale, se non il movimento dello spirito?

Ecco perché a volte ci capita di passare “spontaneamente dalla filosofia al cinema, ma anche dal cinema alla filosofia”.

Amo la storia delle idee, la filosofia e la musica. Mi interessano i linguaggi, la comunicazione, i libri.

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