Tu che mi guardi e mi racconti…
In cerca di un volto. Forse è anche questo, l’estate! Non solo e non tanto la ricerca di un tempo “liberato”, di un luogo “riconosciuto” o sconosciuto, di un ambiente familiare o intricante, di emozioni nuove o attese! O forse proprio attraverso queste. Forse anche l’estate è sempre un “viaggiare”, anche se, in genere, non ci si sposta da quei pochi metri di spiaggia, di piazza o di ambienti, dove si va a “scaraventare” la propria esistenza, come spesso accade nelle “vacanze”.
Forse l’estate, le “vacanze” sono questa “attesa”, a volte disperata, che un volto ci si “riveli” e ci abbagli anche se, quasi sempre, proprio per questo, forse, ce ne difenderemo. E tuttavia, pur disorientati dall’incontro con infinite nuove persone-non volti, per lo più, coperte da maschere o “veli” che, contrariamente al nostro intimo istinto e bisogno, non ci offrono “conoscenza”, rimaniamo ”in cerca”. Al punto che spesso, semplicemente, non ci resta che guardare e fissare luoghi, oggetti, magari il mare o le nuvole, fino a diventare “visionari di volti, scopritori della continua apparizione del desiderato” (Erri De Luca).
E tuttavia rimaniamo consapevoli, confusamente, ma consapevoli, che quel volto “desiderato” sarà anche capace di provocare emozioni, passioni, sentimenti ed esperienze “nuove”, ma, soprattutto, quel volto che “attendiamo” sarà quello che riuscirà a rivelare, come in uno specchio, noi a noi stessi. Sarà il volto che riuscirà a “raccontarci” aspetti, dimensioni ed emozioni, di noi, ancora sconosciute. Sarà il volto che ci dirà e ci “racconterà” che noi non siamo “ancora” quello che siamo, non siamo “tutto” quello che siamo. E forse farà la “magia” di costringerci a riconoscere anche lo “strano” (che in genere noi proiettiamo negli altri) semplicemente come quel nostro “proprio” che non riusciamo ad accettare ancora come “nostro”!
4 commenti
Anonimo
“Scaraventare” è una parola violenta. “Scaraventare la propria esistenza” dice bene la reificazione e la lacerazione di un io che non riesce a trovarsi e getta via se stesso, i suoi sensi, i suoi sentimenti, le sue attese, in preda a un nuovo ambiente dove spera il miracolo del nuovo e dell'inatteso. Lo “strano” che è “nostro proprio” lo incontriamo ogni giorno nei volti “strani” degli altri che non sappiamo riconoscere. Ma tempo verrà in cui “io mi riconoscerò in te che mi guardi, in te che mi racconti”. Sarà il tempo del dolce approdo a se stessi…mai più di “un'esistenza scaraventata”! Amore dopo Amore (Derek Walcott)Tempo verràin cui, con esultanza,saluterai te stesso arrivatoalla tua porta, nel tuo proprio specchio,e ognuno sorriderà al benvenuto dell'altroe dirà: Siedi qui. Mangia.amerai di nuovo lo straniero che era il tuo Io.Offri vino. Offri pane. Rendi il cuorea se stesso, allo straniero che ti ha amatoper tutta la tua vita, che hai ignoratoper un altro e che ti sa a memoria.Dallo scaffale tira giù le lettere d'amore,le fotografie, le note disperate,sbuccia via dallo specchio la tua immagine.Siediti. E' festa: la tua vita è in tavola.
Anonimo
se tutto va bene, tra pochi giorni dovrei partire in pellegrinaggio verso Medjugorje. Che quel volto sia allora quello di Maria, alla cui ricerca tendere sempre e comunque.Un caro saluto.Oscar Tamburis
Anonimo
Dopo aver letto il commento di Oscar, mi giova tornare a riflettere sul contenuto del post. Il desiderio di “un volto atteso in vacanza” mi riporta ai pomeriggi invernali di qualche anno fa. Facevo parte di un gruppo di autoformazione che aveva scelto di leggere “il Dio delle donne” di Luisa Muraro. Non seppi aspettare di procedere con gli altri. Lo lessi tutto d'un fiato, proprio come un assetato che beve un bicchier d'acqua. Mi aveva trascinata l'introduzione: “in vacanza per sempre”. Un invito al “vuoto” che mi dava il capogiro una gioia che non so dire. Ricordo che paragonai la sensazione all'impulso che ogni tanto mi induce a buttar via soprammobili e a svuotare cassetti e armadio per fare spazio…libero. Ecco, sentivo che potevo fare lo stesso dentro di me.Liberarmi di tutti gli “oggetti inutili che mi ingombravano l'anima. Opprimenti immagini illusorie, compresa quella religione infantile che rasenta la superstizione, oggetto consolatorio come tanti altri con cui tentiamo di riempire il vuoto che ci fa orrore. Volesse il cielo che potessimo “gettare appena uno sguardo” (Eckart) in questo vuoto! Il vuoto è il vacuo ossia la “vacanza” di qualsiasi immagine della mente che impedisca la contemplazione di “un volto che ci si “riveli” e ci abbagli anche se, quasi sempre, proprio per questo, forse, ce ne difenderemo”. Ce ne difenderemo se tratteniamo la visione con le parole. Non ci sono parole per dire l'esperienza di un volto che non ha nome e che mai contempleremo in nessuna famosa località di “vacanza”, in nessun “santuario” più o meno rinomato del mondo.È l'esperienza del pensiero che si avventura “sul crinale dove il pensiero arretra perché le parole disegnano il bordo di un non detto”. Qui “la mente inciampa (Simone Weil)” e come dice Eckart si può solo gettare uno sguardo. Ma per giungere a questo “crinale” dove forse avviene l'incontro tra l'io e il me, un altro o un'altra che può essere quel “volto desiderato” e sconosciuto bisogna riuscire a pensare fuori dalla gabbia delle cose necessarie, degli oggetti da inseguire ai quali diamo sempre un nome. Per giungere sul crinale del “divino senza un nome”, forse, bisogna, come scrisse Hetty Hillesum aprire il passaggio in se stessi fino a giungere “al grande splendore che può essere la parte inalienabile dell’anima” là dove la mediazione diventa vivente perché “la sorgente di ogni cosa ha da essere la vita stessa…” (Diario di Hetty Hillesum, 18 giugno 1941).Un augurio di cuore a tutti per una duratura “vacanza”.
Anonimo
Cercare qualcosa lasciata in sospeso è sentire dentro la luce del gelo.Trovare qualcosa a cui si da pesoè ignorare della fiumana il velo.Qualche tempo fa così cominciai una mia poesia, una poesia che potesse educarci tra le righe ad andare al di là del velo, e in un certo senso al di là di se stessi che è sostanzialmente essere “così come tu mi vuoi”. Ma per questo ovviamente non serve la calura d'estate, serve forse del tempo da 'perdere' e la volontà di prescindere dall'edonè del luogo in tutte le sue forme. Ma io continuo a chiedermi se può l'uomo staccarsi per un solo attimo da questo suo lato superficiale ed entrare per un secondo in se stesso o negli altri,senza che sia giudicato matto. Può l'uomo farlo senza che abbia quel timore di essere scoperto a rubare della marmellata dalla credenza? No, non c'è spazio per questo, o forse sì,una volta un grande uomo disse “sapete, la felicità si può trovare anche negli attimi più tenebrosi, se solo uno si ricorda di accendere la luce!”.Quello di cui parlo non è un attimo, ne sono milioni, milioni di piccole persone pronte a puntarti il dito contro se solo provi a guardare dentro il 'vaso',ecco che quindi mi faccio fabbricare anche io una maschera pirandelliana, che tengo giù solo quando nessuno mi vede, perchè magari si potrebbe essere fraintesi!