A come "alba"…La scuola delle cose

Cercando un’altra scuola… E antiche maestre…. E lezioni nella universale “lingua materna”. Può capitare di incontrare, semplicemente, “le cose”… e la “lezione delle cose”! Le cose come antiche maestre! Per reinventare l’antico alfabeto e reimparare le storie dal vecchio sillabario! O meglio potrebbe accadere, se sapessimo ancora riconoscere la lingua “materna” come un bambino e avessimo lo sguardo degli innamorati o dei poeti!  Comprendere la lezione delle cose non richiede competenze speciali, così come non occorrono abilità speciali a un innamorato o a un lattante. Basta desiderare, guardare, ascoltare, toccare.
Quella delle cose è veramente una scuola per tutti, senza differenze. Non ci sono “asini” in questa scuola, non ci sono voti o pagelle. Non ci sono livelli o gradi, né percorsi obbligati o programmi. Non ci sono precondizioni o obiettivi, definiti e rigidi, da raggiungere. È una scuola in cui, come scrive Morin, non c’è nessuna “cosa” che non abbia qualcosa da dire o da offrire. Non ci sono argomenti “colti” o “popolari”. “Il volo della rondine, il saltellare di un passero, il balzo del giaguaro o la luce di uno sguardo”, sono altrettante pagine che consentono un apprendimento indefinito e sempre nuovo, se ci abituiamo a non fissare il senso solo in ciò che il mondo ci offre qui e ora e a non nascondere l’enigma, il mistero, di fronte al quale siamo, e rimarremo, sempre. Ma questo lo “sanno” bene i bambini o gli innamorati! E tuttavia questa scuola e queste lezioni sono anche, purtroppo, come la luce, che è la condizione del nostro vedere ma che nessuno nota, o come l’aria che ci consente di respirare e di esistere, ma che nessuno mette tra le prime cose importanti della vita!
E allora proviamo a sfogliare quel sillabario per riappropriarci della capacità originaria di imparare! Proviamo ad ascoltare quella lezione delle cose così facile da apprendere perché, come diceva Baudelaire, dalle cose le parole escono spontaneamente, anche se a volte confuse in quelle “foreste di simboli”, che tuttavia continuamente ci “lanciano occhiate familiari”!
Seguiamo l’ordine del nostro alfabeto italiano. Cominciamo, per ora, ad ascoltare la lezione dell’”ALBA”.
Chi ha ancora il tempo di imparare ad ascoltare la lezione dell’alba? Chi ha ancora il tempo o la voglia di osservare, ascoltare e “leggere” l’alba?
È vero che si tratta di una esperienza che è lì solo per un attimo e poi ti sfugge, non ti aspetta. Se vuoi osservarla (e già in questo c’è una “lezione” da imparare) devi essere “vigile”, devi “puntarla” quasi, ed essere tu ad attenderla con pazienza, nella “penombra necessaria” (M. Zambrano), senza farti prendere dal sonno o dalla stanchezza. Quasi come un cacciatore fa con la sua preda, o un amante con l’amata!
Ma se fossimo capaci di ascoltare, con attenzione, quella lezione, allora potremmo imparare come sentirsi liberare, finalmente, dal buio, talora opprimente, della notte. Impareremmo   l’attesa confidente di un nuovo inizio. Diventeremmo consapevoli che è sempre possibile riprendere a  “creare” e “inventare”, finalmente, un nuovo giorno. L’alba infatti è sempre lì con la sua lezione ad affermare una speranza che rinasce sempre, nonostante tutto.  L’alba, l’apparire del primo chiarore, insegnerebbe anche a capire qualcosa sulla bellezza, perché la bellezza ha sempre, anche, a che vedere con la luce, con qualcosa di luminoso e di radioso come un bel volto. E la luce è, per noi umani, ciò che si attende sempre, nonostante tutto, come si attende la luce di un sorriso sul volto di chi si ama, dopo una “tempesta” nel rapporto….Infine, non ultimo, la maestra “alba”, con il suo imperituro ritornare, sempre lo stesso, come i giorni,  consegnerebbe agli scolari attenti, anche l’esperienza, paradossale per noi umani, dell’eternità come dimensione nobile dell’effimero! L’eterno nel frammento!

Amo la storia delle idee, la filosofia e la musica. Mi interessano i linguaggi, la comunicazione, i libri.

2 commenti

  • Anonimo

    Alba!Per dirla le labbrasi aprono un attimocome un soffio di lucebreve come la parola. Talvolta mi sembra proprio vero che “nomina sunt consequentia rerum”. E il motivo è semplice e consiste tutto nel suono. Un suono che risponde al senso percepito dai sensi. Ogni cosa scoperta o riscoperta è “veduta, ascoltata, toccata e desiderata”. Ed ecco il “nome”, la conoscenza che risuona come un incontro con la cosa! La maestra che mi insegnò il sillabario si chiamava Ada. Le cose, i suoni, le lettere scorrono ancora davanti ai miei occhi: A come “ala”, B come “bandiera”… I come “imbuto” …R come “rosa”…Mi stupisco delle assonanze, sempre: alba -Ada-ala! Così come mi stupisco delle “corrispondenze”: “Foreste di simboli” o “Chiari del bosco” invitano alla “penombra necessaria” in cui GUIZZA il FRAMMENTO che contiene un attimo ETERNO.

  • Anonimo

    Umberto Eco racconta che, quando lesse le ultime pagine del suo romanzo “Il nome della rosa” alla moglie, questa si stupì della precisione e nitidezza con cui il marito, di solito distratto di fronte alle cose “terrene”, aveva saputo descrivere e rendere vivo l'incendio della biblioteca. Eco le rispose che aveva visto quell'incendio con gli occhi di un monaco del Medio evo. Forse questo è il punto: un'alba, per dire, siamo capaci di vederla con gli occhi di un poeta del VII secolo a.C. o del XX secolo d.C. ma non più coi nostri occhi. Dobbiamo allora buttare via la “cultura” che abbiamo assimilato nei nostri studi per tornare all'autenticità della “natura” o dobbiamo utilizzare quella cultura per accedere, visto che non abbiamo altre vie, al segreto della natura?

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