La strana tempesta

Lasciate che vi racconti la storia di un amore, quasi clandestino; lasciate anzi che io renda il dovuto e grato omaggioall’oggetto di un amore scoperto negli ultimi mesi dell’università. Naturalmente parlo di amori intellettuali o, forse, dovrei dire spirituali, perché non si è mai trattato solo di intelletto. Ebbene, il mio primo amore è stato la filosofia con tutto ciò che essa implica e significa, ma “l’altro”, quello che non ha smesso di intrecciarsi e rivaleggiare, da un certo momento, con il primo, laltro, al cui fascino non ho resistito e che, in un certo senso, mi ha fatto girare la testa, è stata la “nuova” fisica, quella nata dalla “grande rivoluzione” scientifica del XX secolo. Sembra paradossale, ma, la frequentazione delle nuove prospettive della fisica, è rimasta, spesso, quella a cui ricorrevo quando sedotto dalle parole di chi diceva che ognuno di noi è polvere di stelle in relazione e dialogo quindi con particelle nate miliardi di anni fa, sentivo il desiderio, senza abbandonare il visibile, di scoprire l’invisibile e di sondare il mistero che, in modo cosi discreto, ci circonda!

Sì, perché il mondo che emergeva dalle narrazioni di quella fisica, la fisica quantistica, il mondo del “microcosmo“, appariva talmente impensabile e straordinario, da mettere in crisi non solo la realtà quotidiana, regolare, “di buon senso”, di Newton, ma anche l’idea consolidata di materia, gli stessi concetti di moto e cambiamento, di spazio e di tempo, di vuoto, e l’immaginazione stessa, ad ogni livello dell’esperienza. Perché, per esempio, pensare allo spazio e al tempo nell’ottica della teoria della gravità quantistica, significava pensarli non come grandezze continue, ma come una sorta di “schiuma fluttuante, agitata incessantemente, bruscamente, che appare, scompare, si increspa e si riproduce” (Daniel Jou).
Era qualcosa che dava davvero il capogiro!  Era tutto molto strano, e meraviglioso, quel mondo!
Particelleche danzano simultaneamente in tutte le velocità e posizioni. Che strana tempesta èquella in cui abitiamo e da cui siamo attraversati, da sempre, anzi che strana tempesta è quella di cui siamo fatti, pur inconsapevoli, altro che l’ansia o il terrore che gli “ordinari” e ricorrentiuragani e temporali generano. In realtà, “la fisica quantistica agisce proprio come una strana tempesta che, invece di agitare le foglie, i rami, le chiome degli alberi, o quanto di più visibile e macroscopico, e lasciare quasi immobile l’erba sottile, non tocca le piante e agita i prati, con maggiore violenza quanto più piccoli sono, e scuote perfino la terra” (D. Jou). Una visione dell’universo, quella della meccanica quantistica, che ha aperto prospettive nuove sull’origine del cosmo e della vita, che ha generato applicazioni in computazione e crittografia quantistica che stanno cambiando la nostra vita, e che ancora oggi, appare sbalorditiva, incomprensibile e carica di mistero.

Bene. La storia di cui parlo è cominciata quasi per caso, come si conviene a ogni storia d’amore!  Infatti, senza alcuna connessione con i miei studi precedenti, senza nessuna ragionedirebbe il poeta Hikmet, fui spinto dalla prolungata lettura di Luomo senza qualità di Robert Musil e dalla riflessione sull’indeterminato protagonista Ulrich, attraverso, non ricordo più, quale groviglio di pensieri, dapprima, verso Trent’anni che sconvolsero la fisica di Gamow George, e poi, da lì, verso la lettura di Fisica e Filosofia di Werner Heisemberg. Heisemberg! Pensate, aveva solo 26 anni quando enunciò il rivoluzionario principio di indeterminazione, e “l’idea secondo cui gli elettroni non esistono sempre. Esistono solo quando interagiscono con qualcosa d’altro. Si materializzano quando sbattono contro qualcosa d’altro. I “salti quantici” da un’orbita all’altra sono il loro solo modo di essere reali” (C. Rovelli). Da quel punto di vista la realtà essenziale sembra sia solo interazione!

Vi sembra poco tutto questo? A me sembrava, e sembra, tantissimo. A che serve la fisica? Anche a percorrere un itinerario spirituale. Anche a sognare e a proiettarci verso il “possibile” impensato, o verso profondità abissali, proprio come ci può capitare con un Notturno di Chopin, o con L’infinito di Leopardi o un dipinto di Michelangelo, di Gauguin o di Caravaggio: a me fa questo effetto.
Non mi meraviglia perciò il fatto che lo “scienziato” Heisenberg (premio Nobel a 31 anni!) sia giunto alla fine a vedere l’universo come qualcosa che è composto di…musica più che di materia ed energia! Anche per Popper, del resto, in quello strano universo quantistico la materia sembrava avertrasceso se stessa. Tutto ciò era fantastico, strabiliante e affascinante!

Io non ero mai stato bravo in fisica, le mie conoscenze si riducevano al poco rimasto dagli studi del liceo classico, eppure attraverso quelle letture ho cominciato a capire e a “sentire” che con “la nuova fisica” si aveva a che fare con questioni e prospettive che non solo cambiavano la mia esperienza e la mia cultura, ma mi costringevano a modificare le mie categorie di pensiero fondamentali e le strutture intellettuali con cui formulavo la mia esperienza e le mie percezioni. Insomma, man mano che leggevo quelle pagine e riflettevo su quei temi, mi era accaduto “qualcosa”. Difficile a dirsi. Non erano solo conoscenze nuove in più. Era come se si fosse aperta una nuova finestra dell’anima. Io ero in un mondo diverso! Mi era accaduto ciò che succede talvolta, ad alcuni, con la musica: un motivo, un brano, o un’opera, ti coinvolgono nel profondo, senza sapere perché; sembra che si rivolgano a te, sembra che esistano per te, perché tu riesca finalmente ad esprimere certe emozioni, perché tu esca da un angolo e veda o senta qualcos’altro. Perché tu veda un altro mondo che prima era invisibile.
Mi sembrava tutto molto insolito, perché non ero stato mai abituato ad associare la fisica all’invisibile. Né all’esistenza e all’esperienza personale. Insomma, al di là del determinismo della fisica classica, sembrava quasi una nuova esperienza esistenziale e anche spirituale! Era qualcosa che aveva a che fare con la mia vita, perché mi costringeva a modificare i parametri di molti miei saperi, mi spingeva a chiedermi come riuscire a pensarmi e a collocarmi in quello strano mondo descritto dalla nuova fisica (C. Rovelli).

Per questo, immagino, da allora in poi, quelle domande, quelle prospettive, quel modo di guardare le cose e di sentirsi vivo, hanno accompagnato tutti i miei percorsi culturali e spirituali.
“Quella” fisica è rimasta l’affascinante “terzo” in tutte le mie esperienze interiori.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Amo la storia delle idee, la filosofia e la musica. Mi interessano i linguaggi, la comunicazione, i libri.

Un commento

  • Anonimo

    E dell'amore di cui si narra, seppur poco epidemico, ne rimasi contagiato: qualcosa di quella natura invisibile si palesa fortemente, con tratti netti, al cospetto del nostro intelletto, proprio come l'omino che in una buia notta d'inverno suggestionò il giovane Heisenberg, da poco giunto a Copenaghen, facendogli balenare l'idea che la sua esistenza cessasse lontano dalla fioca luce dei lampioni stradali, visione, raccontò in seguito, da cui trasse spunto il nucleo portante di quel principio che porta il suo nome. E in queste fugaci riflessioni un pensiero va ad un altro grande umanista, ancora presente, ma non più visibile, il quale ammoniva che, di contro, la cosa più difficile da vedere è proprio ciò che abbiamo davanti i nostri occhi!https://www.youtube.com/results?search_query=emilio+del+giudice

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