Uno Young Pope per Paolo Sorrentino
Cominciamo con il sottolineare un fenomeno apparentemente paradossale, di cui anche The Young Pope è un segno: in tempi di “eclissi del sacro”, di chiese vuote e di marginalizzazione della religione nella coscienza comune, assistiamo a un moltiplicarsi della presenza del fatto religioso in romanzi, film, serie tv. Basta girare per le grandi librerie, guardare più spesso film di ogni genere e anche serie televisive per rendersene conto.
Penso che questo fatto dia da pensare. Al punto che, se fossi responsabile della formazione del clero, obbligherei papi, vescovi, cardinali, preti e religiosi a informarsi e conoscere molto di più tutti quei prodotti culturali, e a studiarli confrontandosi con essi. Credo che quei romanzi e quei film potebbero fungere da necessario controcanto oltre che da specchio nella ricerca del loro rapporto con il mondo attuale. Li aiuterebbe a capire, per esempio, cosa manca loro, “cosa hanno dimenticato”, domanda che torna in maniera prepotente, e non a caso, già nelle prime due puntate della nuova serie tv del regista Paolo Sorrentino, trasmessa da Sky tv.,
Ecco, io credo che Sorrentino voglia soprattutto questo, al di là dello svolgersi della vicenda e della trama, di cui si potrà parlare alla fine della serie: offrire quasi un colpo d’occhio, uno sguardo da “altrove”, uno specchio sulle vicende della storia del cristianesimo e non solo del papato.
Come del resto hanno fatto molti artisti soprattutto pittori, scultori, architetti, nel corso dei secoli della storia del cristianesimo e delle chiese. Potremmo immaginare la consapevolezza cristiana dei credenti senza lo specchio rappresentato da tante opere d’arteche hanno contribuito e far emergere significati talora nascosti o inconsapevoli del racconto cristiano?
È per questo che Paolo Sorrentino mette in campo un papa giovane e statunitense, che rappresenta, non solo una “novità”, anche attraverso un tipo di linguaggio, diretto, chiaro e privo della tipica inflessione clericale della voce, ma quasi un “marziano” al vertice della Chiesa. Uno che potesse costringere a uno sguardo “altro”, inconsueto. Uno che, anche rifiutando di indicare agli altri la strada, potesse porre chiaramente domande inaudite come “cosa abbiamo dimenticato”; uno che potesse dare risposte altrettanto inaudite come “abbiamo dimenticato voi (l’umanita)” o, peggio, ” abbiamo dimenticato Dio”. Ecco perché Sorrentino ha bisogno di farsi soccorrere anche, nelle primissime battute, dal “sogno” per aiutare lo spettatore a decentrarsi, rispetto ai luoghi comuni, sia positivi che negativi.
Ecco perché, e non solo per dare suspencealla trama, ha bisogno di immaginare un papa visionario e misterioso, quasi ambiguo, non collocabile secondo schemi consueti. Quello sguardo da un “altrove”, da un “fuori” è plasticamente e scenograficamente posto quasi come una delle “cifre” dell’intera opera, all’inizio della prima puntata, in una elegante scenadella sala dei palazzi vaticani dove sono ripresi quasi come “in posa”, per pochi attimi, alcuni gruppi di prelati anziani o molto anziani, nelle loro fastose vesti, in atteggiamenti simili a quelli che si possono verificare in alcuni dipinti rinascimentali; essi sono “visti” così, quasi immobili, come una composizione di quadri esposti in un museo!
Così sembra che, per un momento,la scena si blocchi e tutti i protagonisti di quel mondo si offrano allo sguardo dello spettatore e si fermino essi stessi nell’atto di chiedersi: cosa stiamo facendo qui, e, appunto, “cosa abbiamo dimenticato”, cosa ci manca, e, per caso, è possibile “riavviare” questa storia?
Del resto, ed è quello che mi affascina nell’opera di Paolo Sorrentino, a me pare che al regista interessi soprattutto, più delle trame, rappresentare atmosfere, colpi d’occhio, sguardi. Direi che a lui piaccia, come ad ogni vero artista, non tanto “descrivere“, anche se lo fa ottimamente, ma alludere, evocare, far intuire, far immaginare, richiamere memorie ed emozioni, dicendo senza dire. Lo abbiamo visto in modo eccellente ne “La grande bellezza“, film premiato anche con l’Oscar!
È quello che, mi pare, emerga già, anche nelle prime puntate di “The Young Pope“.
Quello di Sorrentino è uno sguardo che aiuta a capire, perché nonostante le apparenze non è prevenuto. Direi che è uno sguado benevolo e compassionevole, simile allo sguardo che Wim Wenders attribuisce a Damiel e Cassiel, nel film “L’angelo sopra Berlino”, quando osservano gli esseri umani. Quello di Sorrentino è uno sguardo che aiuta a capire, perché guarda senza voler giudicare, senza maliziosità, sia quando pone sotto i riflettori le complessità, il mistero e le contraddizioni umane, molto umane, dello Young Pope, sia quando, pur mettendo in luce le dinamiche e le logiche di potere, i personalismi e gli intrighi dentro i palazzi pontifici, consente parimenti allo spettatore di osservare, quasi di nascosto, il cardinale Voiello (un magistrale Silvio Orlando), emblema del primato della forma e della tendenza dell’istituzione a conservare se stessa frenando l’utopia, nell’atto, segreto e ripetuto, di assistere con umanità e con cura un disabile, pure se probabilmente è difficile anche per lui, soprattutto per lui, ascoltare quel “silenzio infinito” di Dio, di cui lo Young Pope è almeno consapevole.
Non bisogna aver paura di esporsi e specchiarsi nello sguardo dell’altro, per conoscere che cosa, della propria storia e della propria identità, si è dimenticato, e cosa si può essere ancora!