La vita schiacciata sul proprio opposto.
Diciamoci la verità. Il nostro problema oggi è che non siamo più capaci di confrontarci né con il negativo, né con la differenza, se non nei termini di una semantica e una logica di potenziale annientamento.
Oggi, “la questione“, non solo politica ma culturale, è tutta qui: il prevalere di un approccio “militare” ai problemi del “negativo”, della “differenza” e alla fine della relazione con l’ “altro”.
Ne abbiamo avuto una drammatica e sorprendente conferma anche durante le vicende della pandemia, quando anche gli scienziati, schierati con le loro truppe cammellate, in vari modi, hanno dimostrato, secondo una tesi da tempo enunciata da Norbert Elias, che anche la scienza, alla fine, è una lotta per il potere, dove obiettivo rilevante diventa l’annientamento degli avversari. Tutto questo ovviamente al di là degli indispensabili contributi della scienza alla soluzione dei problemi dell’umanità.
Del resto, un approccio “militare“, in ambito culturale, teso a cancellare il negativo, lo troviamo annunciato già a partire da Cartesio, per il quale l’istituzione della scienza moderna richiede che sia fatta tabula rasa del sapere precedente.
Per non menzionare quello strano desiderio di annientamento, volto ad evidenziare il carattere rivoluzionario e la novità assoluta della sua chimica, che spinse il grande scienziato Lavoisier a cancellare tutte le tracce precedenti della sua costruzione, troncando in tal modo tutti i legami che lo mettevano in relazione con i suoi predecessori, affondati in questo modo nell’oscurità, o nel nulla. (Bruno Latour, Non siamo mai stati moderni)
È solo uno dei tanti esempi di un’idea e di un desiderio di “rivoluzione” che si concepiscono essenzialmente come negazione assoluta e annientamento dell‘altro,
Si tratta sempre di una forma di primato della negazione, che pare mirare a una liberazione dal negativo, ma, come “ogni via di liberazione, può tornare a chiuderci in una prigione. Accade appunto nelle opposizioni assolute dove si nega “l’altro” assolutamente, con la presunzione di voler separare il cosmo dal caos. (Luca Bagetto, San Paolo, Feltrinelli).
C’è evidentemente un lavoro urgente da fare, a un tempo filosofico e politico, perché tornino a riemergere immagini affermative del negativo, quali la differenza o l’op-posizione ( non la contrapposizione, infatti, nota Roberto Esposito, il prefisso “ob” significa primariamente un porre “a fronte di“, “davanti a“, e solo in maniera derivata “contro“, implicito invece in “contra[p]posizione“, dove prevale la relazione con il “non“, il negativo, la negazione.
Rimane valida per questo la tesi di Roberto Esposito (Politica e negazione, Einaudi), secondo cui nella temperie che oggi ci troviamo ad attraversare, l’intensificazione del negativo, in tutti gli ambiti del pensiero e della prassi, ci spinge a inscrivere nell’orizzonte negativo dell’inimicizia tutti, amici e nemici.
Infatti, è una strana esperienza quella che viviamo oggi, quando, “il nemico è tale in quanto non-amico”, così come “anche l’amico è definito soltanto dal suo essere non-nemico“.
Non sarà, forse, per questo che, come nota Peter Sloterdijk, oggi non siamo più capaci di relazioni forti?
In questo contesto, radicalmente negativo, non può meravigliare se tutte le categorie politiche “assumono oggi significato non in quanto tali – in ragione del loro contenuto affermativo -, ma solo come negazione del proprio contrario“.(R.Esposito)
E, in tempi in cui, a proposito o a sproposito, si ciancia tanto di libertà, non c’è da stupirsi se anche la libertà diventa prevalentemente “negativa“. – Infatti, è evidente che oggi la “libertà” viene schiacciata nell’orbita paradossale della “necessità”. Essa perde la sua creatività e, stando a ciò che ci tocca sentire, non diventa altro che non-necessità, non-costrizione, non-dominio.
Sarebbe il caso, allora, di uscire definitivamente, scrive Roberto Esposito, da quello che è ormai un dispositivo di lungo periodo che ha legato politica e negazione, ma anche pensiero, filosofia e negazione, già dall’inizio dell’età moderna, in una modalità ancora stretta intorno a noi oggi. Solo in questo modo tornerebbero a riemergere le figure affermative del negativo, senza le quali tutta l’esperienza umana perde di impulso e la vita stessa resta schiacciata sul proprio opposto.
Purtroppo, l‘illusione nefasta di esaurire il negativo per annientamento, e la pretesa di negarlo e cancellarlo, senza confrontarsi con esso testimonia solo la nostra incapacità di pensare davvero il negativo e la differenza
Del resto, ciò a cui ssistiamo continuamente, sia nella politica moderna, sia nelle relative filosofie e teologie, come pure nella prassi quotidiana, è solo un continuo passaggio della negazione (annientamento) da un piano linguistico a uno ontologico, e infine performativo, volto all’esclusione e annichilamento di quanto viene negato..
In questo caso, tra il dire e il fare, tra le parole e i fatti, non c’è per niente di mezzo il mare, ma purtroppo solo un breve passo, come siamo costretti a sperimentare ogni giorno e a tutte le latitudini.
È quello che Roberto Esposito caratterizza come una specie di “macchina metafisica che fa della negazione la forma del politico e del politico il contenuto della negazione“.
In questo modo, davvero, l’esperienza umana è condannata a perdere di impulso e la vita umana stessa è ridotta a restare schiacciata sul proprio opposto,
È possibile, come pensava Deleuze, l’inversione del primato del negativo in quello del positivo? È possibile un pensiero e una prassi in cui il positivo diventi l’orizzonte del negativo piuttosto che il contrario?