Chi ha paura della diversità? Elogio dei colori
Nella nostra società complessa e interdipendente (ormai, in modo irreversibile!), esiste una sempre più generalizzata condizione di interazioni plurali e reciproche.
La nostra è una società “demonopolarizzata”, una società multipolare. Un multipolarismo che interessa non solo le culture, i sistemi di riferimento categoriali, le tradizioni scientifiche, le scuole di pensiero. Infatti, la molteplicità dei punti di vista è costitutiva anche di una stessa cultura, di uno stesso sistema di riferimento, di una stessa scuola di pensiero. Di più, la molteplicità dei punti di vista vale non solo in riferimento ai diversi punti di vista dei soggetti individuali, ma attraversa anche i tipi di pensiero, i tipi di logica, gli atteggiamenti di ogni singolo soggetto. Ognuno di noi, per così dire, parla simultaneamente molte “lingue“: perciò è così difficile ( e a volte drammatico) capire in quale “lingua” stiamo comunicando o scegliere in quale “lingua” comunicare. Oggi si è indipendenti e interdipendenti al massimo grado; si funziona “al plurale”, con ruoli plurimi, in spazi diversi e sovrapposti; si comunica attraverso codici multipli e flessibili.
Eppure, sembra paradossale che, in una società caratterizzata dal massimo di comunicazione e interdipendenza, emergano così prepotentemente la paura e l’angoscia della diversità. È paradossale che, nella diversità, nelle differenze (di ogni genere) si veda solo un ostacolo, un impedimento, un rischio, invece che una opportunità, una possibilità, un valore da salvaguardare a ogni costo!
Siamo talmente fragili e impauriti da non riuscire a capire che ciò che è differente è necessario per farci vedere ciò che, da soli, non riusciremmo a cogliere, nei coni d’ombra delle nostre stesse opinioni ed esperienze? Non riusciamo a capire che, quando la realtà muta e si trasforma velocemente, come quella attuale, solo l’esperienza della diversità e il rapporto con chi è diverso ed ha esperienze diverse, sono la nostra salvezza? O siamo come quegli innamorati che sentono di aver trovato la propria vita quando incontrano qualcuno complementare perché diverso, e poi fanno di tutto per eliminare ogni forma di diversità nell’altro, ritenendola un pericolo per la propria felicità? E non si rendono conto, invece, di stare distruggendo, così, il proprio futuro?
Eppure siamo tutti figli di una tradizione come quella dell’Occidente che, nonostante ottusi integralismi, ha costruito una sola, vera identità: quella di riuscire a far convivere le differenze (di idee, di fedi, di genere, di esperienze culturali)!
Eppure siamo anche all’interno di una tradizione religiosa, come quella cristiana, dove si annuncia un Dio che si è rivelato nella forma di ciò che è diverso da sé, anzi, opposto a sé! (nonostante la fede cristiana sia stata, spesso, usata, nel passato come anche oggi, come arma di esclusione e di ghettizzazione!). E bisognerebbe pure riflettere, a proposito di diversità, sul fatto che quella cristiana è l’unica fede i cui testi sacri riportano le parole del Figlio di Dio in quattro versioni ufficiali diverse (ci sarà pure un senso in questo fatto!).
E allora? Perché non cogliere la ricchezza e la bellezza delle diversità? Chi se la sentirebbe di eliminare dalla tavolozza di un pittore qualche colore, qualunque, anche il più insignificante, come inutile? Non sarebbe necessario, piuttosto, moltiplicare i colori, inventarli, semmai?
La comunicazione diventa, perciò, l’unico strumento per vivere ed esistere davvero nella società “arcipelago” o “labirinto”. La vera soluzione, perciò, oggi, non è la riduzione della complessità, ma lo sviluppo dell’interdipendenza e delle interconnessioni e, quindi, l’aumento della comunicazione!
Un commento
Anonimo
Caro autore,è vero che “ognuno di noi parla simultaneamente molte “lingue””, perché velocemente ognuno di noi cambia stato e, quindi, comunicazione. Ora prevale il cuore, ora la mente. Seguendo l'uno o l'altra, mutano gli stili e le strutture dei nostri testi. È vero che possiamo controllare la nostra comunicazione, scegliere tra istanze diverse e, in base ad esse, argomentare con logica rigorosa o con appassionato lirismo. Eppure, io penso che una comunicazione autentica non può mancare né della mente né del cuore. E allora mi chiedo se esiste una comunicazione in cui il nostro essere si esprima intero, libero, con lo slancio del cuore ed il rigore dell'intelletto. Sì, esiste grazie alla comunicazione poetica . E dicendo “poetica”, non penso solo alla POESIA tout court, ma ad ogni creazione artistica. Non a caso il tuo testo è disseminato di metafore e similitudini! Nell'ordito dell'argomentazione c' è una trama lirica, quella dei “colori”, dello “arcipelago”, del “labirinto”.Ebbene, io ho sentito che la tua nota potrebbe essere meglio commentata dalla POESIA. Innanzitutto una poesia musicale, una danza, o, per meglio dire, un “tripudio” di colori. “Una danza dei fiori”. Il “tripudio” di note del “Valzer dei fiori” di Tchaikovsky bene esprimerebbe la GIOIA VOLTEGGIANTE di un mondo multicolore, o, per dirlo in un' “altra lingua”, di “una società “demonopolarizzata”, una società multipolare”. Se poi ci immaginiamo isole di un arcipelago, ci metteremo in mare accogliendo l'invito del poeta Kavafis: navigheremo da una sponda all'altra senza paura di “Lestrigoni e Ciclopi” nei quali, certo, non incapperemo “se l'anima non ce li mette contro”. E infine il Labirinto, da Ariosto a Calvino, è l'immagine emblematica della storia stessa di ogni individuo e dell'intera umanità. Parafrasando Calvino, le storie di noi tutti sono LABIRINTI di “DESTINI INCROCIATI”.