Religione o fede? Quale cristianesimo? (4)
La dichiarazione pubblica di ateismo da parte di una giovane e pensosa amica, mi ha indotto a pormi alcune domande relative alla questione religiosa, la principale delle quali è stata senz’altro la seguente: ma chi è il credente? colui che professa di credere nel Dio cristiano e poi ritiene impossibili un altro mondo e una umanità diversa, o colui che dice di non credere nel Dio cristiano, ma non smette di credere, di sperare, e di lottare, perché questo mondo cambi le sue logiche e diventi una casa accogliente per ogni essere umano?
Beh, non ho dovuto pensarci molto per scegliere la seconda ipotesi! Anche perché mi sono ricordato di un brano del vangelo, dove Gesù parla di un padre che aveva due figli e chiese a tutti e due di andare a lavorare nella sua vigna. Gesù prosegue il racconto dicendo che il primo rispose al padre: vado subito signore, ma non andò; mentre l’altro oppose un rifiuto alla richiesta del padre, ma poi ci andò. L’evangelista Matteo, che narra l’episodio, scrive che Gesù chiese agli interlocutori: chi dei due secondo voi si è dimostrato veramente figlio e obbediente al padre? E ai suoi ascoltatori che, ovviamente, risposero: il secondo, egli disse concludendo: in verità vi dico (una formula del tempo per dire: vi attesto solennemente e voi potete essere sicuri che sarà così) i pubblicani e le prostitute vi passeranno avanti nel regno di Dio! E cioè: quelli che vengono ritenuti più lontani da Dio, secondo i comuni parametri “religiosi”, sono più vicini a Dio di quelli che credono che Dio stia, invece, sempre dalla loro parte!
Certo, se non si confondesse la “fede cristiana” con una qualunque “religione” pagana; se non si identificasse il messaggio cristiano solo con un complesso di norme, pratiche e riti suggestivi; se non si identificasse l’essere cristiani con appartenenze culturali e identità sociologiche, da usare magari contro altre identità e appartenenze; se la fede cristiana non fosse, per molti, solo un prodotto di “consumo” che “serve” in alcuni casi e poi si mette via, o un farmaco per momenti difficili; se l’essere cristiani non si identificasse con l’andare in giro per i vari santuari e luoghi “sacri” mentre il resto della vita e delle idee rimangono immutati; se non si considerasse la fede cristiana come la “religione civile” del paganesimo, spendibile sul piano dei rapporti di forza e di potere politico, allora sarebbe più facile rispondere alla domanda: chi è il cristiano, come a una domanda che riguarda la vita dei credenti, e non come a un argomento da salotto. Allora, se quelli che si dicono cristiani sapessero rispondere veramente a questa domanda, forse avrebbe più senso il discorso cristiano, anche per gli uomini e le donne di oggi, anche quelli per i quali il discorso cristiano sembra non dire più molto! Allora la presenza, lo stile, la vita, i comportamenti e il tipo di società dei cristiani non diventerebbero, come è successo e succede spesso, una paradossale prova della non esistenza del Dio cristiano!
Infatti, chi può rendere credibile il Dio cristiano? Chi dice di credere in un Dio, Padre di tutti, e poi accetta e non ritiene strano un mondo in cui gli esseri umani vengono distinti in “figli e figliastri”, gli uni da accogliere e gli altri da escludere e dimenticare? Chi si riconosce nell’identità cristiana che consiste nel credere che Dio, che nessuno ha mai visto (vangelo di Giovanni), si è manifestato in un volto umano (Gesù), e poi non riesce a riconoscerlo nei volti, a volte deturpati e feriti, degli uomini e delle donne di oggi, solo perché non appartengono ai “nostri”? Chi dice di credere in qualcosa di inimmaginabile come la resurrezione, e poi ritiene impossibile che questo mondo possa essere cambiato e reso più umano, più giusto, più solidale? Chi dice di credere nel Dio-amore e poi considera normale che in questo mondo prevalga la legge della giungla, del si salvi chi può, dove si considera normale e naturale che chi è più forte o più furbo arraffi quanto più è possibile, a spese degli altri? Chi dice di credere in un unico Dio creatore, da cui dipende tutto, e poi accetta che le risorse di questo mondo siano controllate da una piccola minoranza di privilegiati, ai quali, come a dei, è riconosciuto il diritto di decidere chi è escluso dal banchetto della creazione e chi no, come se si trattasse di un semplice reality tv? Chi dice di credere in un Dio crocifisso e poi accetta la folla sterminata di crocifissi e vittime della sopraffazione, della prepotenza, dell’avidità dei potenti della terra, senza fiatare, scrollando le spalle e voltandosi dall’altra parte, o magari partecipando alla sopraffazione? Chi dice di essere la comunità dei seguaci dell’indifeso Gesù e poi negozia e contratta continuamente condizioni di vantaggio e posizioni di forza, con i potenti di questo mondo? Chi dice di credere che l’uomo è fatto a immagine di Dio, e poi tollera che gente e popoli di ogni colore, vivano umiliati e offesi nella loro dignità? Chi dice di credere nella venuta del Regno di Dio, cioè nell’attesa di “terra nuova e cieli nuovi” e poi è disperatamente, e fatalisticamente, aggrappato allo stato presente delle cose, difeso “con le unghie e coi denti”? Chi proclama, a gran voce, a ogni pie’ sospinto, il primato dello spirito, della religione, dell’etica e dei “valori” e poi organizza le relazioni umane in ossequio alle logiche del denaro e delle “ferree” leggi dell’interesse privato e dell’economia? Chi professa continuamente gli ideali evangelici annunciati da Gesù di Nazareth, ma poi pensa che, in realtà, la vita è tutta un’altra cosa, anzi, come il “grande inquisitore” di Dostoevskij, vorrebbe quasi rimproverare Gesù di essere venuto a crearci problemi dicendoci quello che ha detto, e chiedendogli, casomai, di lasciarci in pace e tornarsene là da dove è venuto, con tutti i suoi ideali e le sue speranze?
4 commenti
Anonimo
Come “gli uccelli del cielo” e “i gigli del campo” Il cristiano segue la FEDE perché SI AFFIDA incondizionatamente e gioiosamente al cammino della vita. SI AFFIDA e CONFIDA nell'amore che nasce dal profondo del cuore. Per il cristiano il comandamento dell'amore è l'unica legge valida. Ora mi vengono in mente le parole di Antigone, ribelle per amore fraterno e custode della legge divina dell'amore, rivolte allo zio e re Creonte, tormentato detentore del potere e custode della legge umana della convenienza: “non sono nata per condividere l'odio ma l'amore”. Condividere l'amore! Mi sembra che in questo stato si manifesti la autentica vita del cristiano. Dentro ognuno di noi alberga la potenza di quell'amore in virtù del quale siamo fratelli in Cristo che volle assumere la natura umana perché in lui ci riconoscessimo tutti come figli del Padre. La religione “lega” con le regole, spesso tanto vicine a quelle della legge di Creonte, e ci appaga con le pratiche esteriori. La fede invece ci libera. Seguire la fede vuol dire, quindi, scegliere la libertà, quella libertà tanto temuta dal “grande inquisitore”, il quale rimprovera Gesù proprio di questo dono fatto agli uomini. Anche a me, ora, viene in mente un passo del vangelo di Matteo, quello in cui Gesù dice ai suoi discepoli che non si possono “servire due padroni”. Ma di questo passo si imprime negli occhi e nel cuore soprattutto l'invito a guardare “gli uccelli del cielo” e “i gigli del campo”, entrambi “nutriti” e “vestiti” dal Padre celeste. Ecco, in questo passo le parole di Gesù attestano che nessuno “è escluso dal banchetto della creazione”, la quale è per tutti. Il cristiano è “ricco” della GRANDIOSA SEMPLICITÀ della creazione, libero come un uccello del cielo, e adorno, come i gigli del campo, di un abito che “neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva”.
Anonimo
potrà sembrare un'affermazione banale ma penso che una persona per potersi definire “credente” deve avere fede, fiducia, affidarsi incondizionatamente al Dio Amore… e forse è proprio questo che mi manca… la capacità di potermi fidare di un qualcosa di cui la scienza non ha le prove… nonostante questo, però, credo fermamente che “fabrum esse sua quemque fortunae” (“ognuno è l'artefice del proprio destino” – Appio Claudio Cieco) e proprio perché siamo noi a modellare il mondo in cui viviamo, direttamente o meno, il miglioramento della società dipende unicamente dalle nostre azioni, senza aspettarci che un giorno o l'altro caschi un qualche miracolo dal cielo. Si può non accettare che le persone vengano distinte in “figli e figliastri” anche senza affermare di credere in Dio. Si può credere che il mondo può essere cambiato anche senza credere nella resurrezione… e se è vero che la speranza è l'ultima a morire, spero che questo non rimanga solo un'utopia..Lascio la definizione di “cristiano” a persone più competenti e spero che perlomeno coloro che si ritengano tali abbiano fatto la loro scelta consapevolmente e non solo come accettazione passiva degli insegnamenti ricevuti fin da piccoli.un saluto dalla “giovane e pensosa amica”!
Anonimo
Cara giovane amica,forse discutiamo in un campo in cui è impossibile far uso delle definizioni e ancor meno delle competenze. Quanto al “credere”, chi potrà affermare di sapersi affidare incondizionatamente? Con semplicità penso che sentire forte il senso della giustizia e per essa lottare sia un segno di bene di cui tutti avvertiamo un grande bisogno. È tantissimo “fidarsi” di questo desiderio di bene. E non so se la scienza riesca a spiegare da dove e per quale motivo nasca un tale desiderio negli uomini. Si può spiegare scientificamente la tua voglia di compiere azioni per un mondo migliore? Perché c'è dentro di te quest'impulso a cambiare il mondo? Forse perché l'atomo del bene o, se vuoi, dell'amore è dentro e non fuori di noi. Quando ero giovane un amico carissimo, che ora non c'è più, a me, che gli dichiaravo di non avere fede, disse che la fede non è come un pezzetto di cioccolato che si mangia. Ho meditato a lungo su queste parole. Chissà, forse voleva dirmi proprio che non potevo aspettarmi che la fede cascasse “come un miracolo dal cielo”. Io sono una di quelle persone che come tu dici, ha ricevuto insegnamenti religiosi fin da piccola e che ancora non ha fatto la sua scelta consapevolmente. Ma la persona del Cristo mi attrae perché testimonia con la sua vita e con la sua morte un amore incondizionato e gratuito. Del resto tu stessa quando dici che non è necessario credere nella resurrezione per cambiare il mondo dai prova di un comportamento generoso e gratuito mosso da un impulso d'amore e non dalle aspettative di una ricompensa. Auguri da Pina.
Anonimo
“Ti credo” significa che mi fido di te e che non ho bisogno di prove per crederti. Anzi, se mi porti prove, documenti, testimoni, rischi che la faccenda diventi un'inchiesta che coinvolge la mia capacità di valutare e ragionare e, allora, non c'entra più la mia istintiva presa di posizione a tuo favore. Ti credo, mi fido di te, a dispetto delle prove che vuoi mostrarmi o a prescindere dal fatto che non ne hai. Atto di ribellione alla ragione, questo? Forse, se la ragione non sa gettarsi oltre l'ostacolo. Ti credo, soprattutto, perché quelli che contano ti hanno dato torto: hai perso davanti ai giudici, hai perso davanti ai potenti, hai perso attraverso quelli che si sono serviti del tuo nome per riproporre altre violenze, altre imposizioni, altre soggezioni. Ti credo perché mi fai pena? Forse sì. Ti credo perché non hai nulla da darmi, neppure la vendetta contro i prepotenti (dei quali nemmeno tu sei stato capace di liberarti). Ti credo perché so che sto rischiando di fidarmi di un pazzo, di un ciarlatano o forse solo di un inganno dei miei sentimenti che fanno il tifo per te. LUIIG VASSALLO