Il gioco a due e il… “terzo escluso”
Chissà se la partecipazione degli italiani ai recenti referendum ha espresso un momento di espansione della coscienza o soltanto una reiterazione di quello che Michel Serres ( Tempo di crisi, Bollati Boringhieri) chiama il monotono e infecondo “gioco a due” che le società umane praticano da molto tempo!
Il “gioco a due” è quello che appassiona tanto le folle e le nostre antiquate politiche. Il “gioco a due” è quello che lascia fuori il “mondo” dagli interessi di politici, leaders, opinion makers, educatori, religiosi, uomini di cultura, imprenditori, ecc. La loro inadeguatezza e desuetudine, come quella dei cittadini in genere, si misura dalla loro ignoranza delle “parole” e delle “cose” che riguardano il “mondo”, la “Biogea” (termine coniato da M. Serres per significare il “mondo”).
Il gioco a due è quello che oppone solo “umani” mentre il mondo resta il “terzo” escluso.
Gioco a due, in fondo, è quello in cui, per evitare di trattare le questioni vere, la nostra società si droga con la domanda ricorrente: chi vincerà? Si fa così affidamento su una vecchia politica il cui tratto essenziale si definisce attraverso il gioco a due: giochi di equilibrio e di forza, umano contro umano.
La nostra voce, le nostre voci, hanno coperto il mondo. Ora il mondo fa sentire la sua. La Biogea si mette a gridare! Interviene il “terzo escluso”, il mondo stesso, con i suoi imprevisti, le sue catastrofi, le sue “crisi”, i suoi “perché”. Siamo perciò costretti a renderci conto che “da tempi immemorabili giochiamo soltanto giochi a due: teniamo conto soltanto degli uomini” (M.Serres). E così questo gioco a due svanisce, in parte. Perché di fronte a eventi drammatici e a nuove percezioni, in un certo senso, “come figli prodighi”, rientriamo a casa!
Ma la questione oggi è “se” possiamo diventare capaci di pensare, agire e vivere “di fronte” al mondo!. Perché ha ragione Serres: noi “viviamo e pensiamo tutti come degli “acosmisti”, come dei senza cosmo”!
Invece il vero “stato globale” contemporaneo è appunto questo: la “fine dei giochi a due” e l’inizio consapevole di un “gioco a tre”.
Ma per questo serve un cambiamento di prospettiva e di mentalità, in tutti gli ambiti e a tutti i livelli. Serve un altro modo di porre tutte le questioni. Anzi una modifica e una trasformazione delle questioni stesse, in modo da far emergere le vere questioni!
Forse siamo tutti impreparati a questo cambiamento! Occorrerebbe infatti ricominciare a imparare l’alfabeto del “mondo”, la nostra vera “lingua materna”! Dovunque! Lì dove si decide, lì dove si progetta e costruisce, lì dove si impara, lì dove si scrive e si pensa, lì dove si immagina e si crea, lì dove si comunica, lì dove si produce, lì dove ci si diverte, lì dove si prega, lì dove si lavora, lì dove si abita,… lì dove si vive!
E questo è difficile, perché questo mondo, questo cosmo, questo “paese”, straniero e ignoto a molti uomini d’oggi (anche a quelli forniti di “istruzione” scientifica – e non sono tanti!), è ancora privo di diritto e di politica, non ha ministri né ambasciatori degni di questo nome (eccetto scienziati non infeudati a poteri e interessi costituiti e capaci veramente di parlare a nome delle “cose del mondo”).
Saremo capaci – si domanda Serres – di “abitare” questa “nuova e antica casa” con lo stesso “sentire” con cui “la famiglia latina” raggruppò, un tempo, le madri e i padri, i cugini e i fratelli, gli attrezzi agricoli, vomeri, gioghi e aratri, con gli animali della fattoria, mucche, maiali e galline? Essa non dissociava gli uomini dal loro mondo!
Infatti parlare del cosmo – e dal punto di vista del cosmo – non significa riferirsi solo a qualcosa che sta “fuori” di noi, significa risvegliarsi a un “altro” modo di vedere, a un “altro” modo di vivere e a una nuova consapevolezza.
Significa pensare, sentire, e muoversi in un orizzonte di apertura, di ricerca, di esplorazione continua dell’universo, non solo quello interno agli esseri umani e alle altre creature, ma anche, all’esterno, negli spazi che uniscono le creature tra di loro (M. Fox). “Quando cerchiamo di isolare una cosa qualsiasi, ha scritto John Muir, la troviamo attaccata a tutte le altre. […] i boschi, le praterie e i deserti sono un’unità, e le relazioni tra i singoli elementi sono vitali e familiari”.
Questo “nuovo” modo di “abitare” e “custodire” la terra, questo nuovo modo di “osservare”, riconoscendo voce e posto centrali al cosmo, al “creato” (come dicono i credenti), questo pensare “a partire” dal cosmo – nella politica, nell’educazione, nella cultura, nelle religioni, nell’economia, ecc. – consentirebbe di acquisire una nuova sensibilità e anche una nuova prassi.
Diventare consapevoli del fatto che “noi” abitiamo questo “paese”, questa antica “nazione”, da sempre, prima che la storia, le guerre e gli odi, le culture e le lingue ci separassero; prima che “le effimere nazioni umane” tracciassero frontiere temporanee rendendoci stranieri gli uni agli altri – mentre l’acqua e l’aria ignorano ogni muraglia” (M. Serres) -, ci aiuterebbe infine a vivere, con un altro animo e con altra prospettiva, anche la mondializzazione contemporanea
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4 commenti
Anonimo
Una “nuova sensibilità” comporterebbe di per sé una “nuova prassi”. Se spostiamo il nostro sguardo, libero, mai più avido, sul creato, restiamo senza fiato per lo stupore delle sue meraviglie, ed anche per il dolore che ci viene dal vedere quante ferite abbiamo inferto alla nostra madre terra. Il cambiamento è nelle mani di ognuno di noi, in ogni gesto e scelta quotidiani. Meno cose da possedere e consumare, più bellezza da conyemplare! Una bellezza da raggiungere per sottrazione delle scorie che ce la nascondono. Fino a denudare l'essenza stessa dell’universo. Il divenire incessante dell'acqua. Il farsi e il disfarsi delle nubi, la brezza lieve o il vento furioso che regala il deserto al bosco e alla prateria! Fino all'immersione nella bellezza del deserto, dove l'abbandono non è più un'utopia. Nel deserto sono finiti il bosco e la prateria. Il deserto è senza confini. Le dune divengono all'infinito, onde dorate di materia pulviscolare. Il deserto ci disseta di silenzio. La melodia di un silenzio infinito donde rinasce quella “lingua materna” che gli uomini hanno dimenticato. La lingua delle cose della vita, la lingua della comunione con quel creato che non vediamo più. Forse, allora, anche il creato ci parlerà e ci racconterà mille storie. Non credo sia difficile. È questione di rispetto e di amore. Si tratta di disporsi allo sguardo che sa vedere la bellezza, e di sfiorare con gentilezza le cose del mondo intorno a noi.
Anonimo
Interpretare il presente e il futuro significa leggerlo in una prospettiva che affonda le sue premesse nell’esperienza sedimentata nella storia. Oggi la velocità e la complessità del Web sono una grande sfida per chi voglia comprenderne le conseguenze, ma ancora più difficile è intendere pienamente il modo in cui le opportunità creative e culturali dell’intera rete Internet influiscono sui modi di pensare e agire.E’ per questo motivo che l’autore del blog merita un ringraziamento particolare per l’input su un argomento di tale profondità e rilevanza. Quell’input di pensare, immaginare e di sentire “oltre”!Per chi li veda muoversi in branco, a consumare il pianeta nel loro monotono e infecondo “gioco a due” a scannarsi a vicenda, gli esseri umani possono sembrare tutto salvo che una comunità intelligente.Nella durata della Biogea, animale o vegetale, ogni specie, (che sia un fungo venefico,un rapace,un parassita o un virus) dispone almeno di un'arma di difesa o di attacco. Quanto a Homo invece egli detiene l'intelligenza. Nel corso della sua storia, tuttavia, egli non ha cessato di utilizzarne la potenza per dominare, superare il primo, annientare tutte le cose, vincere la natura e i suoi pari miserabili in un TRIONFO che paradossalmente potrebbe invece trascinare la specie allo sradicamento. Evitare questa disfatta è possibile solo cambiando l'arma minacciosa. A dirla come Luca De Biae in “We Economy, l’economia riparte da noi” , è ora che l'intelligenza muti dalla volontà di potenza alla condivisione. Noi non siamo solo un branco di lupi, affamati e odiosi che vagano per la Terra per distruggere, inaridire, spolpare e sfruttare ogni risorsa possibile, ad uso e consumo solamente di noi stessi. Siamo ben altro. C’è un “we” in noi, una sorta di desiderio di appartenenza che seppur sopito dal turbocapitalismo e dal dilagante e insulso consumismo, c’è ed è ora ti tirarlo fuori. Questo si chiama CIVILTA’. D’altra parte il senso del divenire di tutte le cose è quello che l’UMANITA’, ultimo giocatore dell’universo, riuscirà a trovare.
Anonimo
“ l’OROLOGIO :….Il colpevole ! “Leggendo questo post, mi sono ricordato di un mio collega, il quale non porta l’orologio; forse non lo possiede nemmeno.Alla mia domanda perché non se ne comprava uno (visto il prezzo irrisorio di quelli elettronici), mi rispondeva che lui non ne aveva mai sentito il bisogno; si regolava in base alla luce del giorno, per fare le sue cose.Strano! Vero? Anche perché, ciò che racconto, avveniva, appena, pochi anni fa.Col tempo, riflettendo, ho capito che questo mio collega, ancora vivente, è un esempio d’uomo che non si è fatto “conquistare” completamente dalla “Storia”. Ha conservato una “ingenuità” (una libertà) naturale, ereditata dai suoi avi contadini.Allora, come loro, per secoli, sono vissuti in “simbiosi” con la Natura, anche nei ritmi quotidiani; per cui il tempo non veniva scandito da un orologio meccanico, ma da quello dei fenomeni naturali, anche il mio collega si lascia andare al ritmo della Natura e l’orario lo calcola “approssimativamente” osservando la luce durante il giorno e stando attendo agli stimoli naturali del suo corpo; per cui dall’osservazione della luce e dagli stimoli, “calcola” che è l’ora di pranzo: E’ mezzogiorno, ad esempio.Quanti di noi, riuscirebbero a vivere senza portare l’orologio ?Non dico quotidianamente, perché ci sono obblighi d’orario, per lavoro; ma nei giorni festivi.Sarebbe bello ritrovare il piacere di “sintonizzarci” con la Natura e riattivare tutti i “sensori” di cui per milioni di anni l’Uomo si è servito per “VIVERE” nel Mondo, lasciando, la domenica, sul comodino:…L’orologio !Mario Rosario Celotto.
Anonimo
Il terzo escluso ogni tanto irrompe nel nostro hortus conclusus e lo mette in subbuglio: che sia il terzo stato della Rivoluzione francese o il disastro nucleare di Fukushima. Gli umani (per schematizzare grossolanamente) si dividono tra quelli che hanno bisogno che gli cada qualcosa sulla testa per riconoscere la legge della gravità e quelli che cercano di conoscere se stessi per occupare il proprio posto nel mondo. Purtroppo nei periodi di basso impero (come la storia antica e anche quella contemporanea ci insegnano) nella classe così detta dirigente prevalgono gli umani del primo tipo, ch, anzi, tendono ad arroccarsi nella sala da ballo del Titanic, incuranti delle onde che già stanno squassando la nave. Agli umani del secondo tipo non resta che attrezzarsi a ricostruire tra macerie, a disastro avvenuto, perché i loro appelli oggi non sono percepiti dagli orecchi dei sordi.