Le banche del risentimento
La chiamano indignazione ma spesso è solo risentimento.
Capita anche questo, quando prevale il modello pubblicitario della politica, e non emergono elementi capaci di produrre un’idea di mondo che si faccia progetto.
Capita, in tempi di social, che chiacchiere vuote e risse da bar vengano sublimate in azioni e tattiche politiche.
Capita che assolutisti disperati, privi dell’ironia necessaria per attraversare i tempi e le stagioni della vita, si convincano che non ci sia più nulla degno di fiducia. E vorrebbero quasi che tutto andasse in frantumi o saltasse per aria, insieme a loro stessi.
Infatti, è un triviale risentimento anche quello di chi si affanna a descrivere scenari funesti, inferni paurosi e abissi prossimi, quasi evocandoli.
Gran parte del risentimento si gioca in realtà attraverso il linguaggio e la parola.
Capita anche, perció, che dissacrare tutto – senza possibilità di discernimento – diventi una forma di sport diffuso e una moda obbligata, che si traducono per lo più in un parlare truffaldino e in parole distruttive e violente. Parole che non servono a capire, ma sono capaci di avvelenare le menti e incrinare le fragili ma insostituibili basi simboliche del vivere comune
Si sente dire spesso che in fondo le parole sono solo parole mentre la vita è un’altra cosa. Ma non sembra sia così.
La vita umana infatti è significato. È simbolo. È linguaggio. È parola. Più di quanto noi siamo soliti credere.
È il caso di chiedersi, allora, con Anne Carson: cosa va perduto quando si spreca o si distorce una parola?
Perciò, giocare a dissacrare tutto non ha molto senso, soprattutto in periodi storici, come il nostro, “sospesi”, cioè a cavallo tra epoche diverse. Periodi di “interregno“, (Sheri Berm),e quindi, per loro natura instabili e nebbiosi.
Nei periodi, come il nostro, quando si è nel pieno della destrutturazione, a vari livelli, di vecchi ordini, ma dove al contempo, resta incerto che cosa esattamente li rimpiazzerà, si ha bisogno di linguaggi e parole pronunciate sottovoce, veritiere e creative
Capita anche, in tempi come il nostro, che alcuni, per nobilitare linguaggi e atteggiamenti, fallaci e violenti, ricorrino a termini impegnativi come “rivoluzione“. Ma, si può elevare l’insulto e il disprezzo sistematico – come fanno “motu proprio” attuali profeti di valori assoluti – al “rango” di rivoluzione?
Puó nascere un movimento mirante alla “rivoluzione” mettendo insieme individui esausti, depressi e disperati? Non andiamo invece verso un tipo di “rivoluzioni” trasformatesi troppo spesso in “tragedie e ripetizioni rovesciate”? (Luca Bagetto)
In realtà, occorrerebbe prendere atto che il risentimento rafforzato dal “segreto amore degli infelici per una rovina spettacolare” (P.Sloterdijk), sembra l’agente più oscuro a cui fanno appello una certa politica di massa e molti leader, di grosso o minuscolo calibro.
Altro che dissacrazione o rivoluzione, qui si tratta di semplice allestimento di vere e proprie “banche dei risentimento“, come nota Peter Sloterdijk (Ira e tempo).
Un risentimento nell’accezione in cui lo intende Nietzsche, come un insieme di odio, invidia, inimicizia, sospetto, rancore e vendetta (Genealogia della morale).
Che brutta fine per l’indignazione e l’ira che ispiravano le eroiche battaglie della mitologia classica!
Ha ragione Sloterdijk: da energia primitiva cantata da Omero e incarnata da Achille, l’ira viene oggi gestita come un capitale e un bene spendibile, da accumulare in «banche del risentimento», quali sono spesso, oggi, partiti, organizzazioni, media e diversi movimenti ideologici o religiosi.