Strumenti per capire. Quale cristianesimo? (5)
Le discussioni sgangherate provocate dalla decisione di Bruxelles sui crocifissi e dall’esito del referendum svizzero sulle moschee, nonché le conclusioni e le proposte, cinicamente strumentali, seguite a quelle discussioni, suggeriscono l’opportunità di dedicare uno degli…incroci di questo blog a una proposta di discussione (magari a puntate) sui contenuti essenziali del cristianesimo. Sono temi questi ultimi che, pur non essendo al centro del dibattito pubblico e spesso considerati marginali da credenti e non credenti, sono tuttavia usati per manipolare opinioni, emozioni e consensi, per scopi tutt’altro che chiari, da parte di chi sa di poter contare proprio sulla scarsa conoscenza e sull’ignoranza relative alle questioni religiose. Anche in questo caso riappropriarsi della conoscenza significa, non solo, diventare adulti consapevoli di ciò in cui si dice di credere (per i credenti), ma anche, per tutti, difendere la propria libertà e la propria indipendenza di giudizio!
Il primo passo, però, consiste nel prendere atto della abissale, diffusa – e crassa – ignoranza che, riguardo al cristianesimo, caratterizza, non solo i non cristiani, ma soprattutto quelli che per motivi diversi (personali?, per ricerca di consenso politico?, per convinzione?, per interessi?, per necessità di identificazione sociale?, per bisogno psicologico di rassicurazione?….) tengono a dichiararsi cristiani, siano essi individui o gruppi, persone comuni o intellettuali, giornalisti o politici, laici o ecclesiastici….
Certo, si sarebbe spinti a domandarsi, vista l’estensione e la gravità del fenomeno, se questa situazione sia recuperabile! Tuttavia, è anche vero che nessuno, che creda nel valore delle idee, della parola e della comunicazione, può permettersi di disperare!
Ma quali potrebbero essere le cause possibili di una forma così evidente (al punto da spingere il filosofo Maurizio Ferraris a mettere in dubbio, in un libro pubblicato da Bompiani qualche anno fa, che i credenti sappiano veramente in cosa credono!) di analfabetismo riguardo ai contenuti essenziali di una fede che si dichiara di professare?
Il discorso, anche dal punto di vista storico, sarebbe troppo complesso. Si può provare, però, ad indicare qualcuno dei fattori all’origine di questa situazione. Per esempio la sfiducia e il sospetto che, soprattutto negli ultimi secoli, ha caratterizzato il rapporto degli ecclesiastici con la conoscenza e la libera ragione umana. O il primato che è stato accordato alla “pratica” del culto (esibendo bandiere o, all’occorrenza, la croce) e all’obbedienza a precetti piuttosto che alla formazione di una coscienza di fede consapevole, autonoma e adulta. Si è imposta – in altre parole – una falsa idea della educazione e formazione religiosa, secondo cui la conoscenza non è necessaria o è addirittura dannosa per la vera fede, per cui i percorsi intellettuali, in ambito religioso, sono stati – e sono ancora oggi – svalutati a favore di cosiddetti “racconti di vita”. Esiste una convinzione diffusa che, in fondo, è solo la testimonianza della vita che conta, senza rendersi conto che, in tal modo, si presuppone una rottura tra ragione e fede. La domanda, però, è: un essere umano – se intellettualmente onesto – può vivere a lungo con una fede che lo costringa a mettere fra parentesi la sua ragione, la sua esperienza e la sua irrinunciabile voglia di capire? È naturale che una fede che si poggi su tali basi è destinata – alla fine – o a non durare a lungo o a trasformarsi in superstizione, in semplice ritualismo, in folklore o in semplice simbolo sociologico di appartenenza! Ed è quello che tutti possono constatare spesso!
Infine, una causa, sicuramente decisiva, di ignoranza è il fatto che per secoli – si potrebbe dire fino al concilio Vaticano II (anni ’60) – soprattutto per i cattolici, i testi biblici sono stati, quasi, dei testi “proibiti”. Così i contenuti della fede cristiana sono stati nascosti, e, necessariamente, sostituiti, da “zavorra” accumulatasi nel corso di secoli, al punto da rendere irriconoscibile il messaggio cristiano, da parte degli stessi credenti, oltre che dagli altri!
Qui è il punto da cui occorrerebbe oggi ripartire per vincere quell’ignoranza di cui si diceva sopra. Una sorta di ritorno ai classici! Come è possibile infatti dire o sapere in cosa si crede, o in cosa non si crede, se non si conoscono i testi fondanti della propria tradizione religiosa? A questo proposito, è il caso, solo, di aggiungere che un pessimo servizio è stato reso anche dall’insegnamento di religione nelle scuole. Infatti se invece di banali, noiose, ripetitive e inutili discussioni sui soliti, cosiddetti, “problemi” giovanili, si fosse usato il tempo per dare ai giovani gli strumenti per la lettura e l’interpretazione dei testi fondamentali del cristianesimo, come si fa per altri testi classici, si sarebbe, intanto, fatta una operazione, in ogni caso, culturalmente valida sul piano formativo, e in più, avremmo oggi intere generazioni in grado di identificare e comprendere i contenuti fondamentali della fede cristiana, e, quindi, più capaci di decidere in modo adulto sulle cose in cui credere o no! E inoltre, avremmo meno gente manovrabile da quella “razza furba” (Holderlin) di gente che, non credendo in niente, usa il divino e il religioso, per scopi “umani, troppo umani”!
2 commenti
Anonimo
Caro Pino, mi piace molto la tua idea di “tornare ai classici” cioè ai fondamenti della fede cristiana, ripercorrendoli magari in più puntate di riflessione. A conferma di quello che tu dici, voglio citare alcuni episodi della mia giovinezza. Il mio docente di religione in quinta ginnasio affrontò la questione dei “fratelli di Gesù” raccontandoci che “fratello” in ebraico significa anche “cugino”. Solo in seguito ho scoperto che le narrazioni evangeliche non erano scritte in ebraico ma in greco. Lo stesso docente, per sostenere la ragionevolezza del monito di Gesù “E' più facile che un cammello passi per la cruna dell'ago …” disse che la “cruna dell'ago” era il nome di una strettoia di Geusalemme. In seguito, studiando per un concorso a cattedre, ho scoperto che nei manoscritti dei vangeli sinottici, accanto a “kamelos” (cammello) è prevista la variante “gamelos” (corda). Infine, quando giovane contestatore osavo citare il vangelo a sostegno di mie posizioni, un monsignore della curia di Nola mi disse “Lascia stà o vangel che sta là”.
Anonimo
Caro autore, tutti sappiamo che l'Italia è uno scrigno di capolavori dell'arte! Ma quanto riusciamo a leggere delle narrazioni istoriate nelle chiese nei palazzi e nei musei del nostro paese? E quanto comprendiamo veramente della nostra stessa tradizione letteraria? Quasi nulla, perché siamo limitati dall'analfabetismo che tu hai rilevato. Del resto l'arte è sempre una rappresentazione del sacro. Una sacra ispirazione che si traduce in narrazioni attraverso una materia alla quale l'artista dà forma. Se ripercorriamo la storia dell'uomo di ogni civiltà e cultura, sempre alle origini troviamo una forma che esprime il sentimento religioso, che implica un “mito”. E credo non sia necessario spiegare che il “mito” nasce dall'unione intatta di “ragione e fede”. Meditando su quanto dici nel post, sono giunta alla conclusione che l'analfabetismo che denunci è diffuso anche tra i “dotti” e comprende l'ignoranza di tutte le narrazioni mitologiche elaborate dall'uomo, non escluse quelle della tradizione greco-romana. La “zavorra” di cui parli grava sull'educazione di coscienze autonome e adulte da molto tempo, e non solo in ambito religioso, ma non so districarmi nel ricercarne le cause. La questione riguarda naturalmente, e in modo urgente e scottante, l'educazione delle giovani generazioni, nelle quali è necessario accendere quello stupore che della conoscenza è impulso. E la conoscenza è il cammino della vita sorretto dalla fede di poter scoprire il mistero stesso della vita, anche se questa resterà, comunque, un “mistero” che, magari, si svela in un attimo in cui guardiamo le cose “con gli occhi chiusi”. Mentre scrivo, mi ritrovo a pensare alla studio della tradizione letteraria che proponiamo ai giovani. Si tratta quasi sempre di una zavorra noiosa che dello stupore dell'arte non serba nulla. Penso, ad esempio, alla lettura della “Divina Commedia”, alla difficoltà generata dall'ignoranza di “miti classici”. Eppure il poema dantesco è un viaggio di conoscenza illuminato da “fede e ragione” e compiuto nel riattraversare il labirinto dei “miti classici”, cristiani e non. Mi viene ora da pensare e scrivere che “ispirazione” è un senso da riscoprire oggi. Sentire dentro un soffio vitale, magari attraverso la nostalgia per un tempo in cui l'essere e il senso non erano separati. O buono Appollo, a l'ultimo lavorofammi del tuo valor sì fatto vaso,come dimandi a dar l'amato alloro….Entra nel petto mio, e spira tuesì come quando Marsïa traestide la vagina de le membra sue….Poca favilla gran fiamma seconda:forse di retro a me con miglior vocisi pregherà perché Cirra risponda. (Paradiso, I)La linfa vitale che alimenta la conoscenza può attingere inesauribilmente alla fonte delle narrazioni dei “classici”. Caro autore, credo che la nostalgia non sia un rimpianto. Io la sento come desiderio di tornare a una patria perduta, non come metafora di un passato mitizzato dai ricordi, ma come meta che ci sveli un senso di noi più autentico e fiducioso. É un viaggio da incominciare, un tornare per proseguire. Un incrocio di destini che vogliono conoscere antiche narrazioni, quei testi biblici che tu dici “proibiti”. Oggi più che mai è necessario, tentare il “proibito”, spezzare le catene, tentare e ritentare il sapere, in nome della dignità dell'essere umano e, quindi, della sua libertà.Pina